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Ponte sullo Stretto: un nuovo sogno italiano che affossa ambiente e razionalità

Ponte sullo Stretto: un nuovo sogno italiano che affossa ambiente e razionalità

Benvenuti nel Paese dove l’interesse pubblico giustifica qualunque catastrofe, anche quella di costruire un mostro di cemento nel cuore di un’area ecologicamente protetta, in nome di un progresso che esiste solo nei comunicati stampa dei ministeri. Il Ponte sullo Stretto di Messina, il progetto che sfida ogni legge naturale, è ora finito sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione Europea. Ma tranquilli: in Italia basta dire che “serve” e tutto si può fare. Anche se distrugge tre siti Natura 2000, anche se ignora le direttive europee, anche se sa di fallimento annunciato.

L’Europa “valuta”, mentre l’Italia corre verso il burrone

La Commissione Europea, con il solito tono diplomatico da salotto buono, ha confermato che sta “valutando” la conformità ambientale del progetto. Tradotto: stanno cercando di capire come diavolo sia possibile anche solo pensare di costruire una tale aberrazione ingegneristica in mezzo a tre aree protette. E no, non si tratta di un “sentiero di campagna con due farfalle”, ma di ecosistemi marini e montani unici, che includono fondali ricchi di biodiversità, corridoi migratori, e habitat di specie minacciate.

Direttive ignorate, habitat devastati

Secondo la Direttiva Habitat, qualunque progetto che abbia “effetti significativi” su siti protetti deve passare una valutazione di incidenza ambientale rigorosa. Indovinate un po’? Il Ponte sullo Stretto li colpisce in pieno: Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci – Antennamare e l’intera Area Marina dello Stretto sono nel mirino. Ma il governo italiano continua a parlare di “compensazioni”, come se si potesse rimpiazzare un habitat distrutto con due cespugli piantati a margine dell’autostrada.

Compensazioni: il cerotto sull’amputazione

Siamo alla fase in cui lo Stato italiano deve dimostrare che il progetto è inevitabile. Tradotto: “abbiamo deciso così, fatevene una ragione”. E quindi giù con le “misure compensative”, un termine tanto tecnico quanto vuoto, usato per mascherare il fatto che stiamo per distruggere un intero ecosistema per un’opera che nessuno ha mai davvero spiegato a cosa serva. Il tutto mentre il cronoprogramma slitta, ovviamente, perché pure nel distruggere siamo inefficienti.

Ambientalisti presi a pesci in faccia

Nel frattempo, le associazioni ambientaliste – Greenpeace, Legambiente, Lipu, WWF – continuano a lottare contro i mulini a vento. Hanno portato il caso in Parlamento, fatto ricorsi, diffide, esposti alla Commissione. Ma nel teatrino delle “audizioni” contano meno di zero: vengono ascoltati come si ascolta il vicino che si lamenta del rumore, e poi si fa finta di niente. I loro appelli alla prevenzione, alla precauzione, alla legalità europea vengono zittiti dalla solita risposta: “ci penseremo”.

La Società Stretto di Messina: avanti tutta, che problema c’è?

La Società Stretto di Messina, il general contractor con il coraggio di ignorare la realtà, assicura che “non ci sono criticità tecniche”. Certo, basta non guardare. Dicono che stanno comunicando tutto con il Ministero e l’UE. Traduzione: stanno inviando documenti mentre i danni ambientali vengono trattati come effetti collaterali. Ma tranquilli: tutto procede secondo “le norme”. Quelle scritte per non essere rispettate.

La solita Italia: devastare oggi, pentirsi mai

Alla fine, il Cipess dovrà dare il via libera. E lo farà. Perché in Italia funziona così: quando si tratta di devastare il territorio, la burocrazia corre come non mai. Quando si tratta di tutelarlo, invece, si inciampa in carte bollate, “pareri” e “valutazioni in corso”. E intanto i cittadini restano spettatori inermi di una farsa da miliardi, che rischia di regalarci un altro monumento allo spreco e alla megalomania.

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