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Portafogli che scommettono su tecnologia, immobili e criptovalute mentre il private equity e i contanti diventano roba da museo

La vera forza (o la vera pietra al collo) dei family office sta nel loro capitale durevole. Non devono chiedere fastidiosi rendiconti trimestrali né rispondere ai capricci degli azionisti impazienti. Possono permettersi il lusso di investire in innovazione e progetti che richiedono una pazienza degna di un monaco tibetano: ormai si parla di orizzonti lunghi anche un decennio o più.
E lo sport? Non è solo per chi ama il calcio o il basket: un sorprendente 25% ha già messo soldi in questo campo e un altro 25% è in attesa di farsi avanti. Il 71% si concentra sulle squadre “prime donne” delle più importanti leghe, perché nulla dice “investimento” come spalleggiare i ricchi di sempre, mentre il 61% è convinto che il futuro del valore siano media e contenuti, ovvero tutto quello che si può digitalizzare e vendere come oro a pressioni.
Famiglie con i portafogli a lungo termine: un decennio di pazienza, o forse più?
La vera forza (o la vera pietra al collo) dei family office sta nel loro capitale durevole. Non devono chiedere fastidiosi rendiconti trimestrali né rispondere ai capricci degli azionisti impazienti. Possono permettersi il lusso di investire in innovazione e progetti che richiedono una pazienza degna di un monaco tibetano: ormai si parla di orizzonti lunghi anche un decennio o più.
Questo non solo consente loro di cavalcare le mode del momento, ma anche di restare investiti nei periodi di crisi senza svenarsi nel tentativo di scappare al panico. Nel frattempo, possono pure vantarsi di mantenere fede ai valori familiari, che evidentemente sono meno soggetti a cambi e più ideali da lautamente sposare.
Più della metà degli intervistati (ben il 58%) si illude di mantenere una sovraesposizione alla tecnologia nei prossimi 12 mesi, orgogliosi di essere già parte del 86% che ci investe e del 51% che addirittura usa l’intelligenza artificiale nei processi decisionali. Peccato che questa “finestra sull’innovazione” sia guardata anche con sospetto dai “beneficiari secondari”, quelli che probabilmente ne subiranno gli effetti o i costi nascosti.
Per quanto riguarda i digital asset, il dato è ancora più sorprendente: un terzo (33%) si lancia a capofitto nelle criptovalute, con un deciso aumento rispetto al 26% del 2023. L’Asia-Pacifico (area APAC, per i cultori degli acronimi) sembra essere il faro illuminato, dove il 39% pensa già a investimenti futuri — evidentemente tra un filtro solare e un sushi. Ed ecco la chicca: l’11% a livello globale usa le criptovalute per la “gestione dei rischi estremi”. Sì, avete letto bene, rischi estremi gestiti con rischi… ancora più estremi.
Altro capitolo che fa sognare è il 72% dei family office che punta sugli asset secondari — quei fondi di fondi nella creativa categoria delle alternative — che vantano vantaggi come portafogli più maturi, incubi a bassa durata e una trasparenza che piace a tutti, soprattutto a chi ha bisogno di sembrare trasparente.
E lo sport? Non è solo per chi ama il calcio o il basket: un sorprendente 25% ha già messo soldi in questo campo e un altro 25% è in attesa di farsi avanti. Il 71% si concentra sulle squadre “prime donne” delle più importanti leghe, perché nulla dice “investimento” come spalleggiare i ricchi di sempre, mentre il 61% è convinto che il futuro del valore siano media e contenuti, ovvero tutto quello che si può digitalizzare e vendere come oro a pressioni.
Famiglie con i portafogli a lungo termine: un decennio di pazienza, o forse più?
La vera forza (o la vera pietra al collo) dei family office sta nel loro capitale durevole. Non devono chiedere fastidiosi rendiconti trimestrali né rispondere ai capricci degli azionisti impazienti. Possono permettersi il lusso di investire in innovazione e progetti che richiedono una pazienza degna di un monaco tibetano: ormai si parla di orizzonti lunghi anche un decennio o più.
Questo non solo consente loro di cavalcare le mode del momento, ma anche di restare investiti nei periodi di crisi senza svenarsi nel tentativo di scappare al panico. Nel frattempo, possono pure vantarsi di mantenere fede ai valori familiari, che evidentemente sono meno soggetti a cambi e più ideali da lautamente sposare.
Ah, la guerra, quella piacevole compagna di viaggio che non smette mai di tenere tutti con il fiato sospeso. Come se non bastasse, le tensioni geopolitiche sono sempre lì a ricordarci quanto il mondo sia un posto complicato per investire. Eppure, incredibilmente, la fame di rischio non sembra placarsi nemmeno davanti a cotanta incertezza. Tra tecnologia, intelligenza artificiale e – perché no? – persino sport, i family office si lanciano a capofitto, lasciando da parte un po’ della vecchia routine per abbracciare il nuovo e l’inafferrabile. Certo, senza però dimenticare quel pratico lungagnone chiamato immobiliare, ancora oggi il salvagente preferito per chi vuole un rendimento, seppur non sfavillante ma almeno costante. Nel frattempo, si mantiene uno zoccolo di liquidità giusto, quel cosiddetto cuscinetto, per cogliere al volo la prossima occasione brillante. Ecco il quadro che ci dipinge l’ultima indagine del Goldman Sachs Group, che ha sondato l’opinione di 245 “decision-maker” dei family office, record assoluto di partecipazione nella storia di questa ricerca. Basta un numero per capire la portata: il 67% di loro gestisce patrimoni netti di almeno un miliardo di dollari, e il 70% delle loro decisioni di investimento è interno, niente consulenti con la cravatta o guru dai nomi altisonanti. La distribuzione geografica poi è da cartina mondiale: 47% nelle Americhe, 26% in EMEA (Europa-Africa) e 27% in APAC (Asia-Pacifico). Nulla da invidiare a un’assemblea della Banca Mondiale, insomma.
Guerre, dazi e altre bagatelle da non sottovalutare
Nonostante le preoccupazioni, gli investitori più facoltosi del pianeta sembrano saper dissimulare una certa voglia di giocare col fuoco. Il 61% dei soggetti intervistati indica i conflitti geopolitici come rischio numero uno, più pericoloso di qualsiasi altra bestia nera: instabilità politica (39%) e recessione economica (38%) occupano comunque un dignitoso secondo e terzo posto. Attenzione però: anziché far scappare i loro soldi, queste minacce sembrano quasi una tortura cinese per testare la loro resistenza. E a proposito di tortura, i dazi sono la ciliegina sulla torta; per fortuna, però, un rassicurante 77% di questi magnati si è rassegnato a considerarli la nuova normalità mentre il 70% predice che i dazi non faranno altro che salire o quantomeno rimanere statici nell’anno che viene. Che confortante stabilità! A parte questo, tutti sembrano convinti che i grandi motori della crescita globale e gli investimenti di lungo termine resteranno più o meno gli stessi – come se il mondo che cambia e si ribalta ogni giorno non fosse lì per ricordarci quanto siamo precari.
Dove finiscono i soldi? L’eterna danza dell’asset allocation
Le azioni quotate hanno fatto un ballo di ritorno ai fasti del 2021, mentre il private equity vacilla leggermente, colpito dalla scarsa esplosione di uscite vincenti. Qui il dettaglio geografico regala qualche spunto: nelle Americhe, la posta in gioco nel private equity è al 25%, un percentuale decisamente più alta rispetto al 22% dell’EMEA e il modesto 15% del APAC. Ma non temete, tutto sta per ribaltarsi come nei film più prevedibili, con piani che puntano su nuove alchimie di allocazione. Nel frattempo, il denaro corre verso il real estate privato e le infrastrutture, oltre al private credit – segno evidente che la ricerca di ritorni stabili e immediati resta il mantra. Dopotutto, quasi la metà degli intervistati (44%) ha deciso di puntare tutto sul real estate privato diretto, facendosi vanto di una competenza operativa che fa quasi rimpiangere i tempi in cui bastava comprare e sperare. Insomma, un ritorno alle origini, condito da un pizzico di audacia moderna.
Gli investimenti alternativi, che dovrebbero essere la ciliegina innovativa sulla torta del portafoglio, calano dal 44% al 42%, con il private equity che fa un passo indietro dal 26% al 21%. Come poi giustificare questo riavvicinamento? Mistero, ma probabilmente è solo un gioco di numeri per apparire prudenti. Nel frattempo il Private Real Estate e le infrastrutture salgono dall’9 all’11%, quasi a voler compensare la diminuzione del private equity, mentre il credit privato fa un piccolo balzo dal 3 al 4%, giusto per non restare fuori dal coro. Gli hedge fund restano stabili, come una vecchia rockstar che non fa più scalpore, ancorati al 6%. Il reddito fisso, quel barlume di noia del portafoglio, guadagna un punto percentuale passando dal 10 all’11%, mentre commodity e liquidità si crogiolano tranquillamente rispettivamente all’1% e al 12%, perfettamente immutabili nella loro pochezza.
Gli investimenti high-tech e digitali: il nuovo paradiso (o inferno) dei family office
Nel tentativo disperato di sembrare avanti con i tempi, i family office si buttano a capofitto in settori emergenti come il tecnologico, i digital asset e – perché no? – lo sport, che evidentemente sta diventando l’ultima frontiera per creare qualche spicciolo di valore
Più della metà degli intervistati (ben il 58%) si illude di mantenere una sovraesposizione alla tecnologia nei prossimi 12 mesi, orgogliosi di essere già parte del 86% che ci investe e del 51% che addirittura usa l’intelligenza artificiale nei processi decisionali. Peccato che questa “finestra sull’innovazione” sia guardata anche con sospetto dai “beneficiari secondari”, quelli che probabilmente ne subiranno gli effetti o i costi nascosti.
Per quanto riguarda i digital asset, il dato è ancora più sorprendente: un terzo (33%) si lancia a capofitto nelle criptovalute, con un deciso aumento rispetto al 26% del 2023. L’Asia-Pacifico (area APAC, per i cultori degli acronimi) sembra essere il faro illuminato, dove il 39% pensa già a investimenti futuri — evidentemente tra un filtro solare e un sushi. Ed ecco la chicca: l’11% a livello globale usa le criptovalute per la “gestione dei rischi estremi”. Sì, avete letto bene, rischi estremi gestiti con rischi… ancora più estremi.
Altro capitolo che fa sognare è il 72% dei family office che punta sugli asset secondari — quei fondi di fondi nella creativa categoria delle alternative — che vantano vantaggi come portafogli più maturi, incubi a bassa durata e una trasparenza che piace a tutti, soprattutto a chi ha bisogno di sembrare trasparente.
E lo sport? Non è solo per chi ama il calcio o il basket: un sorprendente 25% ha già messo soldi in questo campo e un altro 25% è in attesa di farsi avanti. Il 71% si concentra sulle squadre “prime donne” delle più importanti leghe, perché nulla dice “investimento” come spalleggiare i ricchi di sempre, mentre il 61% è convinto che il futuro del valore siano media e contenuti, ovvero tutto quello che si può digitalizzare e vendere come oro a pressioni.
Famiglie con i portafogli a lungo termine: un decennio di pazienza, o forse più?
La vera forza (o la vera pietra al collo) dei family office sta nel loro capitale durevole. Non devono chiedere fastidiosi rendiconti trimestrali né rispondere ai capricci degli azionisti impazienti. Possono permettersi il lusso di investire in innovazione e progetti che richiedono una pazienza degna di un monaco tibetano: ormai si parla di orizzonti lunghi anche un decennio o più.
Questo non solo consente loro di cavalcare le mode del momento, ma anche di restare investiti nei periodi di crisi senza svenarsi nel tentativo di scappare al panico. Nel frattempo, possono pure vantarsi di mantenere fede ai valori familiari, che evidentemente sono meno soggetti a cambi e più ideali da lautamente sposare.