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Quando i danni diventano show: tutto quello che nessuno ti dirà sui risarcimenti e i diritti dei consumatori

Le interruzioni di corrente si stanno moltiplicando a ritmo allarmante, soprattutto nei giorni roventi, trasformando le città italiane da Nord a Sud in fantasmagorici teatri di un’esibizione di blackout compulsivi. Negozi bloccati, uffici al buio, semafori che chiudono gli occhi: il tutto a sincronizzarsi in un irresistibile balletto d’inconvenienti e disagi distribuiti a pioggia. Niente di casuale o isolato, ovviamente: il mix letale di temperature da forno e infrastrutture agli sgoccioli è destinato a regalarci sempre più spettacoli di questo tipo. A farne le spese, ovviamente, sono i poveri cittadini e commercianti, che si vedono raddoppiare il conto, non solo in bolletta.
Agostino Sola di Immobiliare.it fa un quadro impietoso della situazione, sottolineando come i blackout non siano semplici pause della rete elettrica ma veri e propri autogrill dei guasti casalinghi: frigoriferi che si trasformano in scrigni di cibo andato a male, router che, stremati, si bruciano, lavatrici che diventano monumenti al danno, scorte alimentari da buttar via, terminali POS che si rifiutano di lavorare. Qualcuno pensa che un interruzione di corrente di pochi minuti non sia poi tanto grave? Bene, allora aspetti di scoprire che, a volte, quei pochi minuti di scasso della corrente costano più di ore e ore di blackout puro e semplice. Ma chi ha tempo di spiegare queste verità?
Per fortuna, dicono, esiste la normativa Arera (Autorità per la regolazione di energia, reti e ambiente), che finalmente si occupa di proteggere quei disgraziati consumatori. Lì, almeno, troviamo due tipi di compensazioni automatiche. Se si subisce un’interruzione superiore a 8 ore nei piccoli comuni o 4 in città – e quindi un vero e proprio film horror di blackout – si ha diritto a un rimborso che parte da 30 euro, senza nemmeno doverci chiedere, direttamente in bolletta. Naturalmente, ci si deve accontentare: questa sorta di “persona-come-te” indennità non copre né la lavatrice bruciata, né le scorte di cibo finito nel cestino dei rifiuti.
Vuoi il risarcimento per lo sbalzo di tensione che ha fritto la tua Arduino o l’elettrodomestico? Beh, lì bisogna sgobbare: serve un reclamo scritto al distributore o venditore, corredato da un’accurata documentazione fotografica o tecnica che renda evidente la desolazione del danno, insieme a fatture d’acquisto o riparazione. Se dopo trenta o quaranta giorni (che a seconda dei casi, diventano una danza burocratica di attese) non ti rispondono, l’indennizzo supplementare va da 25 a 75 euro. E se nemmeno così funziona? Si può ricorrere alla conciliazione Arera oppure a qualche associazione di tutela rimasta attiva, e infine, se necessario, scendere in campo in causa legale.
Agostino Sola non manca di ricordarci che questa telenovela di blackout non è una sorpresa dell’ultimo momento: già nel 2003, in seguito a un enorme blackout nazionale, Arera invitava a potenziare la rete elettrica. Nel 2005 e nel 2007 si ribadiva l’urgenza di investimenti e qualità, ma evidentemente, qualcuno ha fatto orecchie da mercante. Nel rapporto annuale 2025, si sottolinea in forma elegante e ufficiale che il problema è strutturale e che con il caldo che sale e la ‘digitalizzazione diffusa’ (leggasi: dipendenza assoluta dall’elettricità), la tolleranza verso i blackout è praticamente zero. Arera ha pure fatto partire indagini sulle città più colpite e chiesto un piano straordinario di adeguamenti. Chissà se questa volta qualcuno ascolterà davvero.
E il povero cittadino? Cosa può fare sotto il sole rovente e i semafori ciechi? Innanzitutto, segnalare il disservizio al distributore locale (più o meno quello a cui si affida la sua bolletta), conservare prove indelebili di ogni danno: foto, scontrini di riparazioni, relazioni tecniche da far impallidire qualsiasi ufficio reclami. Subito dopo, inviare un reclamo formale (meglio Pec o raccomandata per tenere tutto su carta). Ma attenzione, via libera anche a tempistiche serrate: segnatevi i sei mesi per fare tutto questo, altrimenti il gioco è fatto e addio indennizzi. Se dopo tutto questo vi ignorano o rifiutano, c’è sempre il servizio di conciliazione Arera o qualche associazione rimasta in piedi, e in ultima istanza, l’ardua strada delle vie legali e collettive.
Ricordiamolo bene: i blackout non sono fantasmi invisibili e imprevedibili da accettare come normalità quotidiana. Sono sintomi di una rete elettrica sfilacciata, di investimenti scarsi e di una protezione che stride con le esigenze reali. Reti vanno potenziate, la tutela economica deve essere più forte e la pazienza dei cittadini meno mitizzata, altrimenti il prossimo blackout non sarà un semplice disagio, ma la cartina al tornasole di un sistema che implode sotto il sole cocente.