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Quando il 20% non basta: Crédit Agricole fa il prepotente e sfida la Bce per prendersi Banco Bpm

Nuova giravolta nel caos bancario italiano: mentre UniCredit attende con ansia la sentenza del Tar del Lazio sul ricorso contro l’ingombrante golden power, Crédit Agricole invece sfodera la sua mossa vincente e si prepara a oltrepassare la soglia del 20% del capitale di Banco BPM. Insomma, mentre uno si incarta nei tribunali, l’altro cala gli assi senza troppi complimenti.
Crédit Agricole non si nasconde: ha annunciato ufficialmente che chiederà l’autorizzazione alla Banca Centrale Europea per superare quella fatidica soglia del 20%, passando dal 19,8% attuale a una quota che suona come una dichiarazione d’intenti più che una semplice mossa tecnica. Ma, ovviamente, tutto rimane nella massima trasparenza: niente controllo, niente Opa obbligatoria, solo un «rafforzamento dell’investimento». Qui si rafforza, là si mira a non acquisire alcun controllo. Suona più come un giochino di prestigio che una strategia limpida.
Fonti interne (quanto preferiamo le fonti “vicine alla banca” quando l’ufficialità manca) spiegano che questa scalata oltre il 20% è una trovata tutta tecnica: così «la volatilità delle azioni Banco BPM non influenzerà il bilancio del gruppo madre». Traduzione pragmatica: meglio avere qualche azione in più in mano così da non ballare alla prima fluttuazione di mercato. E se il tutto serve giusto per posizionarsi appena sopra quel 20% storico di Piazza Meda, beh, allora il messaggio è chiaro: vogliamo restare comodi ma con un piede ben piantato nella porta.
Insomma, per Crédit Agricole nulla di nuovo sotto il sole, almeno stando a quanto dichiarano. Non vogliono il controllo né pretendono seggi nel consiglio di Banco BPM. Ma se la realtà fosse un filo diversa, dubitiamo che lo ammetterebbero così facilmente. Come si usa dire, i fatti parlano più delle parole, soprattutto in questo risiko bancario in cui ogni mossa è pesata al grammo.
Intanto, dall’altro lato del ring, UniCredit non può certo ignorare questa escalation. Il sogno del ceo Andrea Orcel di conquistare il 66% e fondere Banco BPM per tirar fuori tutte le sinergie possibili viene ammorbidito dall’ingombrante presenza francese. Che addirittura potrebbe salire fino al 29%, dando una scossa non da poco ai piani italiani.
Un po’ come quel coinquilino che, senza pagare affitto, si mette in salotto a far la voce grossa. Orcel si trova ora con una mano legata e l’altra pronta al compromesso, dovendo trattare con i francesi non solo su questa partita, ma anche sul fronte del risparmio gestito, dove l’alleanza è in scadenza nel 2027. Difficile immaginare che lo splendore delle sinergie si manifesterà senza qualche sberla (politica) lungo la strada.
Nel frattempo, il presidente di UniCredit, Massimo Tononi, non ha usato mezzi termini parlando dell’Ops su Banco BPM. A margine della Assemblea Abi 2025, lo ha definito «del tutto insoddisfacente». E dagli azionisti, viene il più classico dei segnali: zero adesioni. Tradotto: la proposta di UniCredit è stata accolta con un misto di sbadigli e silenzio imbarazzato, segno che qualcuno preferisce aspettare prima di firmare.
In definitiva, siamo di fronte a un puzzle in cui ogni pezzo si muove strategicamente, e nessuno sembra davvero intenzionato a cedere. Crédit Agricole si rafforza con elegante fermezza, mentre UniCredit deve rimangiarsi molte ambizioni e rivedere piani. Un risiko bancario dove il vero vincitore potrebbe essere chi sa attendere e giocare sporco, o semplicemente la pazienza di chi guarda da fuori questa partita che, per ora, si gioca a colpi di quote e permessi più che di fusioni vere.