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Quando il 30% della cosmetica vacilla: l’ennesima crisi del settore che nessuno vuole ammettere

Il settore chimico italiano si avvicina ai 40 miliardi di euro di export e gli Stati Uniti rappresentano il quarto mercato più importante, con quasi 3 miliardi di euro di esportazioni. Ma attenzione: se i famigerati dazi americani dovessero davvero arrivare al 30%, buona parte dei prodotti chimici italiani diventerebbe un miraggio oltreoceano. Settori chiave e fiore all’occhiello come la cosmetica e i principi attivi farmaceutici sarebbero i primi a farne le spese.
Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, ci tiene a precisare che, al momento, qualsiasi valutazione dell’impatto reale dei dazi è una bella sfida, visto il continuo mutare della situazione e la danza indefinita delle decisioni che sembrano materializzarsi solo per confondere ulteriormente le acque.
Il problema, però, non si limita alla chimica in sé: è tutta la manifattura europea che rischia di andare sotto. Senza la possibilità di esportare i loro manufatti, anche le imprese chimiche che contribuiscono alla loro produzione ne pagheranno il conto. Ma non è tutto. Il rischio più gustoso è che la Cina, vedendo sbarrata la porta degli Usa, decida di riversare tutto il suo surplus proprio nel mercato europeo. Tradotto: Europei, preparatevi a fare i conti con una concorrenza ancora più spietata su casa vostra.
Il presidente non manca di sottolineare la beffa: dal 2021 al 2024, infatti, la quota cinese nell’import chimico italiano è schizzata dal 6% al 16%, con un ulteriore +24% solo nei primi quattro mesi del 2025. Nel frattempo, la produzione chimica cinese è esplosa crescendo del 26%, mentre la domanda globale saliva solo del 9%. Come fanalino di coda, gli Stati Uniti si sono fermati a un modesto +3%, e l’Unione Europea ha perso il 12% della produzione, con l’Italia che, orgogliosamente, recita un -11% tutto suo.
Buzzella conferma che questo trend non è un incidente di percorso, ma una direzione precisa, che si riflette anche nei primi mesi del 2025: nonostante il solito anticipo degli acquisti da parte delle imprese italiane per scampare i dazi, la produzione chimica ha segnato un calo dello 0,4% annuo, peggiorando ulteriormente dopo.
Il 2024 è stato un altro anno per cuori forti dopo il tonfo tra 2022 e 2023. La crisi energetica, che pure sembra aver mollato la presa più severa, continua a infossare il settore, aggravando il saldo commerciale appena ripresosi. Non è questione solo nazionale: la chimica europea brucia rovinosamente, con la Germania, prima potenza del Vecchio Continente, che crolla addirittura del 19%.
In questo marasma di incertezze, scenari tremendi e ripensamenti continui, le imprese non sanno più se comprare o aspettare, complicando ogni tentativo di pianificazione a medio termine. Le previsioni per il 2025? Sempre in rosso, segnano un -1,5% che non lascia grande margine di speranza.
Buzzella insiste: capire cosa accadrà con gli Stati Uniti è fondamentale, così come cercare nuovi mercati esteri in grado di sostituire l’America che si schermisce con i suoi dazi. Ma soprattutto, sottolinea, serve una politica solida, italiana e soprattutto europea, che torni a mettere al centro la competitività industriale e stimoli una domanda interna che non sia un deserto. Diversamente, dice senza troppi giri di parole, l’Europa resterà preda di qualunque scossone internazionale senza la minima difesa. Senza un’industria robusta, il Vecchio Continente rischia di diventare un fantasma marginalizzato, doppiamente colpito – prima nel portafoglio, poi nei valori che suppone di difendere.