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Quando il posto conta più del prodotto: perché l’ambiente fa tutta la fatica di costruire la marca

Abbiamo elaborato una proposta per il titolo: Quando il brand si fa spazio: il design come linguaggio invisibile dell’identità aziendale Adesso, la riformulazione dell’articolo in italiano con il tono richiesto, strutturata in blocchi Gutenberg come da istruzioni:

Il mondo del branding ha finalmente capito una rivoluzione epocale: lo spazio fisico non è solo una scatola da riempire, ma una vera e propria estensione del marchio. Anzi, oggi più che mai, è un elemento cruciale per far conoscere e far vivere l’identità di un’azienda. Peccato che sia ancora raro vederlo trattato con la professionalità che merita, spesso invece si delega il compito ad architetti o arredatori, che inevitabilmente finiscono per appesantire l’esperienza con scelte poco comunicative.

Ad illuminarci su questo tema ci pensa Luca Morvilli, CEO del Gruppo Qubit, che in un incontro milanese ha spiegato come la comunicazione passi sempre più attraverso i luoghi di lavoro e gli spazi aziendali. Se vi aspettavate semplicemente poltrone di design e pareti colorate, siete fuori strada: qui si parla di strategia, di metodo, di analisi profonda per far sì che ogni ambiente racconti la missione e l’anima del brand.

Nel dettaglio, all’interno del gruppo esiste una realtà ben rodata chiamata Carmi e Ubertis, che da oltre tre decenni si dedica a plasmare identità di marca vivide e coerenti. Questo non significa solo brand visual, ma anche “identità di linguaggio”, verbale ed editoriale, fino ad arrivare a quello che viene sbrigativamente definito “space design”. Ma, ci tiene a sottolineare il manager, è proprio in questo ambito che si nasconde il vero segreto: non basta la creatività fine a sé stessa, serve un rigoroso processo metodologico che parte da un’accurata analisi.

Tra i progetti più significativi di questa esperienza figurano interventi per la Rcs Academy e per la fondazione di Modena, dove la grande scommessa è stata trasformare spazi altrimenti anonimi in veicoli di comunicazione, capaci di raccontare chi sei senza l’ausilio di un discorso fatto a parole. Perché, parliamoci chiaro, oggi il branding non è (solo) questione di loghi o slogan, ma di creare ambienti che parlino da soli e che inducano chi vi entra a immedesimarsi con il marchio.

Insomma, se finora avete sempre pensato che lavorare sullo spazio fosse roba da architetti o arredatori, sappiate che siete rimasti parecchio indietro. Il futuro del brand passa da una comunicazione più sottile, più intelligente, che comprende lo spazio come mezzo e non come semplice sfondo. E per farlo, ci vuole metodo: non è fantascienza, ma professionalità, analisi e una consistente dose di ironia verso chi ancora vede la progettazione degli ambienti come un banale arredamento.

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