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Quando Iveco Group finisce nel carrello della spesa di Tata Motors: ecco chi sono i nuovi padroni e a quanto l’affare da ridere

L’indiana Tata Motors si prende Iveco Group con un assegno di 3,8 miliardi di euro. La firma arriva con tempismo perfetto, giusto dopo che la divisione difesa di Iveco è stata piazzata nelle mani di Leonardo. Ma non temete, tutto questo gigantesco affare è stato pubblicizzato come una mossa strategica per creare un colosso mondiale nel settore dei veicoli commerciali, vantando capacità produttive e un portafoglio prodotti da far invidia.
Tata Motors, evidentemente desiderosa di mostrarsi gentile e rispettosa, assicura che non stravolgerà l’anima di Iveco Group, promettendo che la struttura aziendale rimarrà pressoché intatta e che gli investimenti già previsti non subiranno tagli. La sede rimarrà saldamente a Torino, città che continua a fare da sfondo a colpi aziendali di questo calibro, e nessuno si sogna di chiudere impianti o stabilimenti.
Sul fronte occupazione, Tata giura e spergiura che nessun lavoratore perderà il posto a causa di questa unione. Che dolce rassicurazione, soprattutto davanti a un mercato così dinamico e in continua evoluzione.
L’offerta pubblica d’acquisto volontaria è strutturata attraverso Tml Cv Holdings Pte o una nuova società olandese, interamente controllata da Tata Motors. Il prezzo offerto per ogni azione ordinaria di Iveco Group, al netto della separazione della divisione Defence, è di 14,1 euro, tutto in contanti. Ben 3,8 miliardi di euro per mettere le mani sull’intero gruppo meno la parte dedicata alla difesa, che, tra l’altro, ha già generato qualche profitto netto dal divorzio.
Non finisce qui: gli azionisti potranno brindare a un dividendo straordinario legato proprio alla vendita della divisione difesa, stimato tra i 5,5 e i 6 euro per azione. Un regalo extra che si somma a un prezzo per azione che include un bel premio del 22-25% rispetto all’andamento dei mesi precedenti, che già si aggirava attorno ai 16 euro. Più o meno, una corsa verso la gloria economica.
Le autorità governative italiane, con l’obbligo di ammantare tutto di ottimismo, parlano di questa operazione come di un «passo importante» per il futuro, un’opportunità di crescita per l’azienda e i suoi dipendenti. Insomma, una storia di successo che incarna il valore delle tecnologie italiane, ora nelle mani – anzi, nella dotazione finanziaria – di un gigante multinazionale indiano.
Non manca il tocco diplomatico: l’India non è solo un compratore ma un «partner strategico», con cui l’Italia ha da poco siglato un piano congiunto per rafforzare legami e collaborazioni, preparando così il terreno per altre «opportunità» di questo tipo. Alla fine, anche in un mondo globalizzato e ipercompetitivo, una mano lava l’altra… e il mercato globale sorride.
Naturalmente, ci assicurano con voce invitante che “le strutture produttive resteranno in Italia”, tenendo strette le mani sull’occupazione diretta, sull’indotto e sulle filiere di approvvigionamento. Come se bastasse una bella promessa per impedire la delocalizzazione, ma no, “non sono previste delocalizzazioni”. Anzi, si punta a una “espansione internazionale solida” attraverso una “collaborazione con uno dei principali produttori mondiali di veicoli”, ma attenzione: niente sovrapposizioni operative! Solo “evidenti opportunità di crescita” – un’espressione elegante per dire “vedremo come va”.
Ah, e come ciliegina sulla torta di questo spettacolo di trasparenza, c’è la cessione di Iveco Defence Vehicles a Leonardo, strategicamente presentata come un “valorizzare un polo produttivo di eccellenza in settori differenziati ma correlati”. Senza dubbio un capolavoro di poesia industriale, che ci fa sognare un futuro dove la difesa incontra l’industria senza salti nel vuoto.
Entrambi questi “progetti” – parola magica per etichettare qualsiasi roba si nasconda dietro la cortina fumogena – hanno come obiettivo dichiarato “sviluppare appieno le proprie potenzialità” ma, udite udite, sempre “rimanendo saldamente ancorati alla tutela delle fondamentali esigenze nazionali”. Chissà se significa anche evitare di regalare i gioielli di famiglia in cambio di una stretta di mano.
Le stesse fonti governative ci confortano dicendo che amano “investimenti esteri di qualità” – concetto forse che definisce investimenti tanto puliti quanto quelli di una fabbrica di zucchero – e che seguiranno da vicino l’evolversi delle operazioni “per garantire la tutela dell’occupazione, delle risorse strategiche e della filiera produttiva”. Quindi, un occhio vigile e magari anche una mano tesa in caso servisse, perché si sa, la protezione è sempre una questione delicata.
Infine, ci rassicurano che il governo è “disponibile a collaborare con tutti i soggetti coinvolti per favorire un risultato utile alla nostra Nazione” – lettura: “restiamo a guardare finché il vaso non trabocca”. E, ciliegina finale, ribadiscono che “in ogni caso, il governo vigilerà per la tutela di ogni asset strategico ai sensi della disciplina vigente”, ovvero il solito mantra che si ripete dopo ogni annuncio, finché tutto va politicamente bene e la realtà fugge via impalpabile come fumo.