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Quando la Corea del Sud decide che il tuo Wallapop vale più del tuo buon senso: Naver fa la spesa in Europa

Quando il gigante sudcoreano di internet Naver decide di mettere le mani su una piattaforma spagnola di seconda mano come Wallapop, non è solo un affare di shopping: è una dichiarazione d’intenti. Peccato che, a guardar bene i numeri, il tutto sembri più un calo di aspettative che un trionfo. La valutazione post-acquisizione? Una comoda cifra di 650 milioni di euro, che guarda caso è inferiore ai 771 milioni valutati appena a inizio 2023 durante il round di finanziamento di serie G. Quindi, invece di crescere, Wallapop sembra essere tornata un po’ indietro. Ma chissà, forse la magia di Naver riuscirà a raddrizzare il tiro.

Naver, che deteneva già una fetta della società dal 2021, insiste nel dire che questa mossa rispecchia la sua strategia di espansione in Europa, quella “terra promessa” delle startup che tutti inseguono. Secondo Soo-yeon Choi, CEO di Naver, questa alleanza porta avanti il sogno di un internet aperto e variegato, preservando l’identità di Wallapop ma con un tocco di tecnologia sudcoreana per amplificare la leadership sul mercato iberico e mediterraneo. Insomma, un’operazione dolceamara: salviamo l’anima di Wallapop ma mettiamoci anche un po’ del nostro zampino high-tech.

Non è certo la prima volta che Naver tenta di espandersi a suon di miliardi. Nel 2023 ha messo le mani su Poshmark, altro colosso americano del re-commerce nel settore moda e tecnologia. In Europa, il portafoglio è ben nutrito: oltre 500 milioni di euro investiti in 30 società, con 8 (udite udite) unicorni. E se vi domandate come mai tutto questo fervore, ricordate il centro di ricerca Xerox a Grenoble, ora trasmutato nel super laboratorio Naver Labs Europe, una fucina tecnologica al centro della galassia globale di R&S di Naver. Classe e muscoli, insomma.

Wallapop, nata nel 2013 a Barcellona, ha costruito una community di ben 19 milioni di utenti: una piccola nazione virtuale che produce oltre 100 milioni di annunci l’anno, vendendo e comprando oggetti che hanno deciso di non finire in soffitta o in discarica. Nel 2024, hanno raggiunto il pareggio operativo sul mercato spagnolo, con ricavi oltre 100 milioni di euro e aspettative di record per il 2025. Nel frattempo, il loro impatto ambientale? Strepitoso, grazie a questa frenesia di scambi di seconda mano, gli utenti hanno “risparmiato” quasi mezzo milione di tonnellate di CO2, l’equivalente di togliere il traffico di Barcellona per sei mesi. Chissà quante auto avranno preso nota per passare al riuso.

Quindi, cosa abbiamo? Un gigante tecnologico che entra a gamba tesa in un mercato in crescita ma che fatica a mantenere le promesse di valore, un’azienda che potrebbe trasformarsi nell’ennesima cavia della globalizzazione dei servizi digitali, e una comunità di consumatori sospesa fra sostenibilità ed euristica del risparmio. Il gioco delle grandi accuse e difese nel mondo delle startup si ripete, mentre noi spettatori possiamo solo sorseggiare deliziosamente il dramma economico e ambientale che scorre sotto la superficie scintillante della convenienza digitale.

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