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Quando la politica rovina i giochi: Tesla affonda e SpaceX scivola nel limbo delle incertezze

Dando un’occhiata agli ultimi risultati trimestrali di Tesla, sorge spontanea una domanda ormai inquietante: se Elon Musk potesse tornare al fatidico 13 luglio 2024 — il giorno dell’attentato a Donald Trump — rifarebbe esattamente le stesse scelte? Perché da quel tweet estemporaneo post-sparo, in cui il miliardario sudafricano diceva di “sostenere pienamente il presidente Trump e sperare in una sua pronta guarigione”, tutto ha preso una piega piuttosto… interessante.
All’improvviso, Musk è passato dall’essere un finanziatore più o meno anonimo della campagna repubblicana a incarnare a tutti gli effetti il primo vero megafono di Trump. Quella che sembrava una breve parentesi di solidarietà si è in poco tempo trasformata in una presenza coreografica ai comizi, interviste a reti unificate, fino a ruoli ufficiali dopo il ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Insomma, d’un tratto il visionario innovatore è diventato il frontman del trumpismo, vero e proprio idolo del movimento Maga, quasi un clone di Steve Bannon, almeno in superficie.
Una trasformazione così marcata non poteva che avere risvolti eclatanti. Da un lato, infatti, il business sembrava galoppare verso vette mai viste: il 31 luglio 2024 Tesla era valutata intorno agli 811 miliardi di dollari, con azioni a 232 dollari circa. Sei mesi dopo, con Trump nuovamente al potere, la quotazione era schizzata fino a toccare una cifra da capogiro di quasi 1,5 trilioni. Non solo, anche SpaceX e le altre imprese del variegato impero di Musk godevano di un’aura positiva, alimentata dall’effetto “vicinanza al potere”. Una manna dal cielo, se non fosse per le inevitabili ombre di conflitti di interesse su cui pure nessuno sembrava soffermarsi troppo.
Ma come sempre accade quando si gioca con le alte sfere politiche, la festa non dura all’infinito. L’impegno viscerale di Musk nel sostegno a Trump si è rapidamente trasformato in una trappola da cui è difficile uscire indenni. Lo stesso marchio Tesla è diventato l’emblema del trumpismo, attirando un’ondata di dispetti, vandalismi e proteste in tutto il mondo. Le vendite sono crollate come castelli di carte al vento, contagiando anche i profitti delle altre società di Musk. Sorprendentemente, video di celebrità che rivendono le loro Tesla per manifesta disapprovazione verso le scelte politiche del boss sono diventati virali sui social media, amplificando la crisi del brand.
Morale della favola? L’imprenditore geniale, con la sua voglia di protagonismo politico, si è infilato in un vicolo cieco. Un classico esempio di come mescolare passioni personali, scelte strategiche e politica possa trasformarsi in un boomerang micidiale, soprattutto per un marchio che fino a ieri era sinonimo di innovazione e rivoluzione elettrica. Elon Musk, il mistico dell’energia pulita, ora si ritrova involontario testimonial di un movimento che più divisivo non si può, con buona pace degli investitori e dei clienti sparsi per il globo.