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Quando la salute incontra i marchi Dop: il teatrino del sistema agroalimentare italiano

Campania al lavoro per trasformare le eccellenze agroalimentari in un brand di qualità globale

Non bastava solo portare la pizza e il sole: la Regione Campania ha deciso di mostrarsi all’Expo 2025 di Osaka con un workshop dal titolo “Campania Food For Health”, giusto per mettere subito in chiaro che qua non si parla solo di mangiare, ma di promuovere la qualità e la salute legate ai loro prodotti agroalimentari. Un grande confronto tra istituzioni, produttori e scienziati, che ha registrato una partecipazione più che vivace, quasi a voler dimostrare al mondo che dietro la mela annurca e l’olio campano c’è qualcosa di più di semplice folklore.

L’assessore all’Agricoltura Nicola Caputo, con quella dose di orgoglio che sfiora il mantra da ufficio stampa, ha dichiarato che l’evento è stato “molto partecipato”. Sembra quasi un’affermazione rilevante, ma se lo dice lui, per forza deve esserci del buono. Ha elencato le eccellenze della regione, dalla mela annurca all’olio, passando per i progressi nel settore zootecnico e ortofrutticolo. Insomma, non basta che facciano bene alla salute, ora si punta a trasformare questa qualità in un vantaggio economico, legando tutto saldamente al territorio e alla Dop Economy, in un mix che suona quasi come la chiave magica per conquistare mercati e palati internazionali.

Ad aprire le danze è stato Luciano D’Aponte, il responsabile promozione agroalimentare della regione, che ha presentato con dovizia di particolari i risultati delle fiere e degli eventi passati. Tra le sue perle, l’enfasi sulle denominazioni di origine come “infrastruttura economica e culturale” del territorio, perché si sa, un po’ di etichetta aggiunge sempre valore. Il modello da manuale è la mozzarella di bufala campana dop, raccontata da Rita Liberti. Con oltre 530 milioni di euro di fatturato stimato per il 2024 e 55 milioni di chili prodotti, la mozzarella è l’appetito che spunta al centro-sud, piazzandosi come terzo formaggio italiano per valore e quarto marchio Dop nazionale. Ovviamente, grazie a fusioni di identità territoriale, innovazione e sostenibilità, un cocktail perfetto per il successo.

Non si sono fermati qui: Raffaele Amore ha presentato il progetto EVOlio, che sembra fatto apposta per esaltare le piccole denominazioni territoriali campane. L’idea è costruire un “sistema Campania”, un marchio ombrello che canalizzi la biodiversità locale in un pacchetto compatto e vendibile. Un modo elegante per non perdere di vista quelle specialità che rischiano di restare nascoste dietro il successo dei grandi nomi.

Insomma, la Campania sta lavorando duro per trasformare i suoi prodotti di punta in ambasciatori della salute e della qualità, ma anche, non dimentichiamolo, in un business ben oliato. Perché nel mondo di oggi il cibo è più di nutrimento: è identità, cultura e, naturalmente, un volano per l’economia regionale. Resta solo da vedere se tutto questo entusiasmo riuscirà a tradursi in un reale vantaggio sul mercato globale o resterà una somma di buone intenzioni ben confezionate.

Naturalmente, non potevano mancare i soliti interventi pieni di buone intenzioni ma scarsamente concreti. Salvatore Ciardiello della Copagri Campania, Carmine Fusco della Cia Campania e Giovanni Tammaro di Confagricoltura Napoli ci hanno illuminato sulla sacrosanta necessità di investire in reti organizzative, formazione e modelli innovativi. Perché, ovviamente, aumentare la redditività agricola non è una passeggiata. E tutto questo per rigenerare valore lungo tutta la filiera produttiva fino al consumatore finale, che ormai, per fortuna, è diventato l’esperto supremo dell’origine e della qualità dei prodotti. Un vero detective del cibo bio, a quanto pare.

Gli scienziati entrano in scena

La seconda parte del panel ha offerto uno spazio d’onore alla sacra comunità scientifica, sempre pronta a sfoderare verità indiscutibili. Il prof. Mauro Minelli, immunologo e docente di nutrizione umana, ha posto la dieta mediterranea su un piedistallo, definendola come la quintessenza della medicina preventiva. Secondo lui, la dieta più amata da Instagram e da chi si vanta della propria cucina, è in realtà un potentissimo alleato del microbiota intestinale, questo fantastico ecosistema che tiene in equilibrio tutto: dall’immunologia al metabolismo, passando per neurologia, ovviamente. Insomma, il segreto per stare bene è mettere nel piatto un grande mix di biodiversità alimentare, in perfetto stile mediterraneo.

Il prof. Ludovico Abenavoli dell’Università di Catanzaro ha fatto il suo grande annuncio: uno studio scientifico che dà nuova linfa vitale alla mela annurca campana, il frutto-simbolo della Campania, elevandola a alimento funzionale. Tradotto: non è solo buona da mangiare, ma fa pure bene. Il miracolo della scienza che trasforma una semplice mela in una promessa di vita migliore.

Non poteva mancare il contributo del prof. Raffaele Sacchi dell’Università Federico II di Napoli, che ci ha svelato il santuario dell’olio extravergine d’oliva ad alto valore nutraceutico. Un’arte ben più raffinata del semplice condimento: l’olio di qualità diventa strumento di prevenzione, veicolo di un’identità sensoriale da custodire gelosamente, con tanto di tracciabilità e analisi dei profili fenolici. Insomma, non più il banale “olio per friggere”, ma la nuova arma segreta per la salute pubblica.

Il dottor Antonio Limone, per chiudere con classe, ha lanciato il suo monito: la sicurezza alimentare è la chiave di volta per la qualità. Il mantra? Controllare le filiere fino all’ultimo chicco di grano per evitare disastri da consumatore tradito. Una lettura a tutto tondo del modello campano di valorizzazione agroalimentare, basato su un meraviglioso matrimonio fra saperi produttivi e ricerca scientifica. Il tutto con l’obiettivo nobile di custodire gelosamente la centralità della Dieta Mediterranea nel grande ballo globale di salute, sostenibilità e alimentazione. Un modello certo perfetto… almeno sulla carta.

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