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Quando la sostenibilità fa flop: bioplastiche compostabili che promettono il mondo ma mettono a repentaglio l’eccellenza

Si è appena svolto a Roma il 2° Forum italiano dedicato alle bioplastiche compostabili, organizzato da Assobioplastiche e dal Consorzio Biorepack. Mentre il settore nel nostro Paese registra una brusca frenata nell’ultimo biennio, le attività di riciclo dei prodotti a fine vita sembrano invece volare alto, offrendo qualche spiraglio di ottimismo con risultati socio-ambientali positivi. Sì, avete letto bene: un decennio di crescita solida si è trasformato in un crollo. Tra il 2012 e il 2022, il fatturato complessivo è precipitato a 704 milioni di euro, segnando un meno 15% rispetto all’anno precedente, nonostante i volumi produttivi facciano finta di crescere un pelo, con 121.500 tonnellate (+0,5% rispetto al 2023), secondo un’indagine firmata da Plastic Consult.
Non meno deludente è la situazione delle aziende dedicate alle bioplastiche compostabili, che di numero invece di aumentare, fanno una capriola in dietro: sono 278, distribuite tra pochi produttori di chimica di base e intermedi (7), qualche produttore e distributore di granuli (22), e una manciata di operatori di prima trasformazione (189) e seconda trasformazione (60). E non vi illudete: anche gli addetti specializzati, ovvero coloro che maneggiano direttamente i prodotti nella filiera, sono diminuiti a 2913, con un -2,2% rispetto all’anno precedente. Insomma, sembra proprio che il settore soffra.
Ma ecco la sorpresa che ci farà tutti applaudire: l’organico riciclo delle bioplastiche compostabili cresce senza freni. Nel 2024 il tasso di riciclo, depurato dagli scarti, ha raggiunto un sorprendente 57,8% di quanto immesso al consumo, con 47.511 tonnellate recuperate su 82.246 tonnellate di prodotto immesso sul mercato. E attenzione: questo risultato non solo supera gli obiettivi europei fissati per il 2025 e il 2030 (rispettivamente 50% e 55%), ma sembra correre avanti da solo. Sugli spalti applaude pure il numero di comuni e territori che si sono messi in convenzione con il Consorzio Biorepack: sono passati in un anno dal 58,5% al 74,3%, un balzo di ben 15,8 punti percentuali. La popolazione coinvolta sfiora l’85%, con un robusto aumento di 11 punti rispetto al 74,1% dello scorso anno.
I comuni firmatari del contratto hanno anche sfilato con un bottino non da poco: corrispettivi economici per 12,7 milioni di euro, più di tre milioni in più rispetto al 2023, a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile messi insieme ai rifiuti domestici. Un argomento decisamente d’attualità, considerato che la sostenibilità ambientale – parola d’ordine globale – ha sempre più eco in decisioni e campagne di comunicazione.
Eppure, non tutto è rose e fiori. Per gli attori del settore questa fotografia non è affatto tranquillizzante. Il problema che più fa tremare i polsi riguarda l’invasione di shopper e prodotti in bioplastica compostabile importati dall’estero con prezzi che sembrano ridicoli, quasi da mercato nero, e che corrono il rischio di mandare in difficoltà le aziende europee, italiane incluse.
Il paradosso è lampante: oggi conviene acquistare un prodotto finito in bioplastica compostabile proveniente da fuori Europa perché costa meno che abbandonarsi all’apparente follia di comprare le materie prime necessarie per produrlo qui da noi o in qualsiasi Paese europeo. Un’amara ironia, specialmente per un tema che riguarda sostenibilità, economia circolare e politiche ambientali a cui tutti, almeno a parole, dovremmo tenere assai.
Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche, ci illumina con una verità scomoda: le aziende extra UE, soprattutto quelle asiatiche, godono di sovvenzioni pubbliche che sembrano fatte di fiaba, manodopera a costo quasi zero e normative che farebbero impallidire qualunque burocrate europeo. Insomma, il paradiso della concorrenza sleale. Questo scenario assurdo mette l’intero settore europeo sotto una pressione competitiva insopportabile. Fino a qualche anno fa, una buona fetta di bioplastiche vendute in Europa vanta ancora una produzione autoctona. Oggi invece? Eh già, quella percentuale è scesa a picco. Nonostante la capacità produttiva europea sia sempre alta, in molti settori questa risulta tristemente sottoutilizzata.
Ma non finisce qui: c’è un fenomeno particolarmente creativo nella sua scorrettezza, quello delle stoviglie “pseudo riutilizzabili”. Un termine elegante per dire: “Imbroglio industriale con la complicità di una normativa europea, la famigerata SUP (Single Use Plastic)”. Quest’ultima vieta il monouso, sì, ma dimentica di spiegare cosa significhi davvero “riutilizzabile”. Così gli astuti produttori sfruttano questa falla per vendere prodotti che di riutilizzabile hanno poco o nulla, fregando chi si attiene alle regole e facendo un bel danno alle imprese oneste. Due associazioni di categoria avevano già lanciato l’allarme, e ora anche Italia ha fatto la sua proposta tecnica per definire meglio questi manufatti in sede UE, ma siamo ancora in attesa di risposte e commenti. Nel frattempo, se pensavate che fosse finita, vi sbagliate di grosso: c’è anche il fenomeno degli shopper illegali, che compongono più di un quarto dei sacchetti in circolazione in Italia, a ben dieci anni dall’introduzione delle tanto decantate sanzioni. Tanto rumore per nulla, insomma.
E dopo questa esilarante carrellata di distorsioni, arriva il piatto forte: il nuovo regolamento europeo sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, noto come PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation). Per le bioplastiche compostabili apre uno scenario promettente, ma ovviamente non poteva essere tutto rose e fiori: impone anche scadenze serrate e una gestione che definire complessa è un eufemismo. Insomma, un vero rompicapo burocratico. A parere di Bianconi, Italia deve farsi furba e sfruttare al meglio questo regolamento, notificando al più presto la lista delle applicazioni obbligatorie da realizzare in materiali compostabili entro l’11 agosto 2026. Così facendo, si spera di fare da apripista per altri Paesi europei. Che dire, un quadro di certezze per produttori e utilizzatori è sicuramente desiderabile, e magari anche qualche sollievo ai poveri consumatori, costretti a districarsi tra mille regole per lo smaltimento dei rifiuti organici.
Marco Versari, presidente del Consorzio Biorepack, si lancia in un’interpretazione lirica del modello di economia circolare che la sua associazione promuove, con quella famosa modestia che caratterizza ogni eroe del riciclo:
“Per far funzionare un modello che ha già dimostrato la sua valenza economica e ambientale bastano poche regole, certe, chiare e fatte rispettare. Come consorzio di riciclo continueremo a impegnarci nel consolidamento degli obiettivi di riciclo, collaborando con tutti gli attori della filiera, a partire dall’industria del compostaggio, e chiudendo in maniera virtuosa il ciclo degli imballaggi compostabili.”
Tradotto: basta un po’ di ordine, trasparenza e soprattutto che qualche ente si degni di far rispettare le regole sbandierate da anni, per portare il riciclo e il compostaggio a livelli degni di nota. Ovviamente, nel frattempo, la concorrenza senza scrupoli fa il bello e cattivo tempo. Ma niente paura, l’industria virtuosa è lì che aspetta solo di essere ascoltata. Come se bastasse.