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Quando l’Italia scopre l’intelligenza artificiale: boom da 34% in azienda, ma chi ci crede davvero?

L’intelligenza artificiale conquista il mondo del lavoro italiano: dal 12% al 46% in un solo anno, ma tra entusiasmi e ignoranza resta molto da fare.

L’Italia sembra aver deciso di non stare più a guardare mentre l’intelligenza artificiale rivoluziona il lavoro. Se nel 2024 appena il 12% dei professionisti la utilizzava, nel 2025 la percentuale schizza al 46%. Una crescita impressionante, quasi da record mondiale. Peccato però che il 74% dei manager si dichiari consapevole dei “code of conduct” etici sull’IA, mentre meno della metà dei dipendenti conosce anche solo le basi di questo framework. Come sempre, la divisione tra chi comanda e chi esegue resta più netta che mai.

Eppure, il top management non perde tempo a vantarsi dei risultati già tangibili: il 52% di loro segnala benefici concreti in termini di riduzione dei costi e incremento dei profitti grazie all’adozione dell’intelligenza artificiale. Un trionfo che però rischia di restare limitato, se il resto della forza lavoro rimane nell’ombra dell’ignoranza digitale.

Nel frattempo, l’Italia si prende il titolo di campione europeo per quanto riguarda gli investimenti nella formazione dedicata all’IA: il 64% dei lavoratori italiani sta migliorando le proprie competenze in questo ambito, davanti a nazioni ben più blasonate come la Spagna. Chissà se questo slancio formativo arriverà a colmare il divario tra vertici aziendali e impiegati, oppure resterà solo una palma da appendere al muro.

Giuseppe Santonato, esperto di intelligenza artificiale per Ey Europe West, sintetizza con estrema chiarezza questa doppia faccia dell’IA nella penisola:

L’intelligenza artificiale non è più una tecnologia emergente, ma una realtà concreta che sta già generando valore per le imprese. Il 52% del top management ha rilevato benefici tangibili in termini di riduzione dei costi e aumento dei profitti. Tuttavia, il vero salto di qualità arriverà quando sarà accompagnata da una cultura diffusa e condivisa. Colmare il divario di consapevolezza tra leadership e dipendenti è oggi una priorità strategica: serve un investimento concreto in formazione, governance e accessibilità per rendere l’IA una leva inclusiva e sostenibile di trasformazione.

Insomma, mentre i manager brindano e annunciano trionfi economici, le basi culturali e formative restano il vero tallone d’Achille di un’Italia che, more solito, fatica a fare squadra tra chi decide e chi esegue. Al prossimo round ci si aspetta meno fumo e più arrosto, infatti senza una cultura condivisa l’IA rischia di diventare solo l’ennesimo specchietto per le allodole di una digitalizzazione tutto sommato metà reale e metà fantasma.

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