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Quando Trump sparava al 30% e l’accordo Usa-Ue si accontentava del meglio possibile

L’accordo sui dazi tra Europa e Usa che nessuno osa definire una vittoria

Un vero capolavoro di negoziazione diplomatica: ieri, in Scozia, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha stretto la mano al presidente americano Donald Trump per un accordo sui dazi che, secondo il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic, sarebbe il “meglio possibile” in queste condizioni di vera difficoltà per l’Unione europea.

La scenetta da salotto diplomatica ha avuto un’apertura rocambolesca: da un inquietante 30% di dazi americani sulle esportazioni europee, che avrebbe praticamente chiuso i rubinetti del commercio transatlantico a partire dal primo agosto, si è miracolosamente scesi a un interessante “qualcosa di meglio”. Se solo foste stati in sala, ci assicura Sefcovic, avreste potuto ammirare la trasformazione da uno scenario apocalittico a uno leggermente meno da film horror economico.

Con questo accordo, niente più esportazioni bloccate né catastrofi industriali immediate, ma una “salvezza” per i posti di lavoro in Europa e un imperdibile “nuovo capitolo” nelle relazioni con gli Stati Uniti, il tutto nel magico contesto di una “nuova era di geoeconomia e geopolitica” che verosimilmente esiste solo nei discorsi da protocollo.

Non è solo commercio, affermano trionfalmente: dietro le quinte si parla di sicurezza, di u200bu200bUcraina, di volatilità geopolitica e chissà cos’altro, ma ovviamente nessuno può rivelare i dettagli. Insomma, un vero e proprio thriller geopolitico in salsa europea-americana.

D’altronde, come spiega il nostro commissario, è pur sempre meglio un accordo insipido che una guerra commerciale dichiarata, benché qualcuno si senta tentato da soluzioni più radicali. Ma guardate che se vi lasciate ingannare dalla tentazione, preparatevi: Sefcovic ha calcolato tutto, numeri e conseguenze, ed è “sicuro al 100%” che questa roba è preferibile alle faide tariffarie di Trump.

Chi pensa che il mondo possa magicamente tornare com’era prima di quel memorabile 2 aprile, giorno in cui Trump ha scatenato la “tempesta tariffaria” su mezzo pianeta, chiarisca subito le sue illusioni: il mondo pre-2 aprile è morto e sepolto. L’Unione dovrà rassegnarsi e adattarsi a questa nuova, brillante normalità commercial-geopolitica imposta dagli Stati Uniti.

In conclusione, la “cooperazione strategica” — parola altisonante per non dire accondiscendenza — con “il nostro partner strategico” è il prezzo da pagare per evitare una guerra totale dei dazi. Altrimenti, avverte Sefcovic, le imprese europee sarebbero messe sotto una pressione terribile e potrebbero perdere centinaia di migliaia, forse milioni, di posti di lavoro. Molto rassicurante, no?

Che sceneggiata! Prima ci portiamo al punto di rottura, con condizioni di lavoro talmente insopportabili da costringerci a una soluzione “negoziata”. Subito dopo, come ciliegina sulla torta, arriva il messaggio rassicurante: “Dovremmo presentare la proposta, ma in condizioni molto peggiori”. Insomma, la politica del disastro annunciato, con annesso mega sconto sul valore dell’offerta.

François Bayrou, il primo ministro francese, ha avuto la gentilezza di illuminarci sulla tristezza del momento: “È un giorno triste quando un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”. Il suo commento, fresco fresco dopo l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti firmato ieri in Scozia, sembra quasi una lezione di morale dall’alto di un piedistallo francese che ama gridare libertà ma poi applaude ogni compromesso conveniente.

Nel frattempo, il nostro caro ministro degli Esteri Antonio Tajani, in perfetto stile showman di una riunione su Facebook ma dal vivo, lancia l’ennesima convocazione di emergenza alla Farnesina. Ovviamente, con tutti i rappresentanti del “mondo imprenditoriale” – perché non c’è nulla di meglio che far sapere alle aziende che la politica è lì pronta a sostenere solo con chiacchiere e promesse.

L’obiettivo? Continuare a sognare (o stressare) quei miracoli da 700 miliardi di export entro il 2027. Eh sì, il mondo gira così: si annunciano catastrofi commerciali e intanto si promettono numeri da capogiro che, ormai, solo nei sogni di chi li pronuncia riescono a prendere forma.

Il teatro del compromesso: ovvero, come farsi male con eleganza

Così, mentre il tavolo delle trattative si trasforma in una specie di circo degli orrori, le dichiarazioni di facciata servono a coprire quel senso di resa che si respira nell’aria. Il problema dei dazi, delle condizioni diseguali e delle trattative perdenti? Silenzi colpevoli, promesse al vento e, naturalmente, la solita finta aggressione verso “l’altro” per nascondere il fatto che il vero avversario è la nostra incapacità di tutelare i propri interessi.

E così l’Europa muove i suoi passi da gigante, proprio come un elefante in una cristalleria, con grande gioco di prestigio: vendere il fallimento come vittoria e disegnare un futuro radioso sul nulla.

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