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Referendum di giugno: da che parte girerà il mondo del lavoro? L’analisi necessaria per chi non si vuole perdere nel caos.

Un’analisi per capire che cosa succederà alle aziende italiane se il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025 dovesse mantenere i suoi effetti. Fantastico, vero? E ora ci chiediamo: quali strumenti ci sono per rendere i contenziosi lavorativi più gestibili e garantire una maggiore protezione alle imprese? A rispondere a queste domande, ci pensa il magnifico duo composto da Fabio Speranza, avvocato esperto in diritto societario, commerciale e fallimentare, e Carmine Guarino, commercialista specializzato nella gestione del personale. Non è bello avere esperti che ci illuminano? Peccato che il loro parere sembri più una pozione magica che una soluzione concreta.

Il primo quesito: un abrogazione sognata

Gli esperti affermano che “con il primo quesito si propone l’abrogazione integrale del decreto legislativo n. 23 del 2015 (il famigerato ‘Jobs Act’), sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.” Oh, che novità! Un articolo di legge così popolare tra i lavoratori. Questo strumento, che in caso di licenziamento illegittimo garantisce un’indennità che cresce con l’anzianità senza alcuna possibilità di reintegro, potrebbe finalmente essere messo da parte. E devono essere proprio i giudici a riallinearsi con la legge Fornero (l. n. 98/2012) che, a dire il vero, aveva già sollevato qualche polemica.

“Le attuali mensilità di indennizzo,” continuano gli “esperti,” “vanno da un minimo di 6 a un massimo di 36.” Il bello è che, secondo l’approvazione del quesito referendario, le mensilità minime passerebbero a 12, ma quelle massime scenderebbero a 24. Una vera scossa per le aziende! Se poi parliamo di licenziamenti considerati nulli o discriminatori, beh, la musica cambia: il reintegro è sempre garantito, come se fosse una sorta di busta regalo non richiesta.

In caso di licenziamenti collettivi, la musica è la stessa: “Il reintegro del posto di lavoro.” E per i lavoratori che preferirebbero scappare, magico il fatto che potrebbe esserci un’offerta economica più alta! Certo, chi non sogna di lavorare in un’oasi? Ma, come spiegato dall’avvocato Speranza, le imprese potrebbero rimanere schiacciate dai costi: “Un aggravio di costi rispetto all’attuale regime.” Un’inezia, no?

Il secondo quesito: liberiamo il giudice!

Con il quesito numero due, si punta a eliminare il tetto massimo dell’indennizzo di 6 mesi per chi viene licenziato da piccole imprese (quelle con meno di 15 dipendenti, per capirci). Liberiamo il giudice! Che possa decidere quanto deve essere il risarcimento, senza limiti! Non è affascinante? Questo, ovviamente, non significa che venga meno la nature della tutela, ma diamo al giudice un bel giocattolo da maneggiare.

“Il vantaggio per i lavoratori sarebbe una tutela risarcitoria…” Ma già, che belli questi vantaggi! A chi non piacerebbe essere seduto sul trono della discrezionalità del giudice? Speriamo che la giustizia non si trasformi in un gioco da tavolo, dove ogni tiro di dado potrebbe portare a situazioni esilaranti…o tragiche, a seconda di chi si trova dall’altra parte.

Consistente e non definita, eh? Questa normativa potrebbe persino risultare più gravosa di quella che prevede 24 o 36 mensilità per i dipendenti delle grandi aziende. Immaginate la gioia delle piccole imprese, già sull’orlo del collasso, nel sentirsi ulteriormente gravate da un’onere così pesante come un peso piuma. E chi ha bisogno di assunzioni quando si ha una montagna di burocrazia come questa?

A proposito di contratti a termine, eccoci al quesito numero 3! Attualmente, abbiamo una durata massima: i primi dodici mesi sono una sorta di terra di nessuno, dove è possibile stipulare contratti senza alcuna giustificazione. Dopo questo periodo, ci si può lamentare per ulteriori 24 mesi… a patto di indicare perché, grazie a lunghe e complesse contrattazioni collettive. Alla fine, dopo due anni, tutto si trasforma in un contratto a tempo indeterminato, un sogno per molti, ma un incubo per le imprese che preferiscono giocare a “prendi e lascia” con i loro dipendenti.

“Ah, il vantaggio principale, dicono i promotori del referendum, sarebbe quello di limitare i contratti a termine a meno che non si possieda un motivo valido come un diploma di laurea in giustificazioni!” Ma chi ha bisogno di quella libertà per gestire le assunzioni temporanee? Le piccole imprese, ovviamente, che si trovano a dover giustificare ogni singola assunzione come se avessero di fronte un esaminatore di stato piuttosto che un semplice datore di lavoro in cerca di aiuto durante il boom di produzione. Un bel modo di garantire che i giovani non trovino lavoro, giusto?

Passiamo al quesito numero 4, che riguarda la responsabilità solidale negli appalti. Cosa c’è di meglio che abrogare una norma che esclude la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore? Perché, dopotutto, chi ha bisogno di responsabilità quando si può semplicemente ignorare il fatto che uscire in cantiere possa, oh, non so, causare infortuni? Certo, al momento, il committente non è responsabile per incidenti derivanti da rischi specifici dell’attività delle appaltatrici, ma perché mai dovremmo proteggerli?

“Immaginate una compagnia che gestisce un centro commerciale e decide di ristrutturare un negozio…” continua il nostro amico Speranza. “Bene, se l’operaio si fa male, il committente non è corresponsabile!” Scusate, ma è davvero così che vogliamo fare affari? Con la modifica, la corresponsabilità sarebbe la nuova regola. Bravo, più responsabilità per chi sta già pagando abbastanza per mantenere a galla un’attività. E sì, l’intervento sì promette una riduzione degli incidenti. Ma chi ha tempo di preoccuparsi per la sicurezza quando si è sommersi da una valanga di obblighi?

“Il rovescio della medaglia?” dice Speranza, “Il fatto che l’irrigidimento delle regole potrebbe portare a una stagnazione degli appalti in Italia.” Fantastico! Perfetto modo per mantenere tutto come è, perché chi non ama un buon blocco completo di progetti e opportunità? “Al di là delle modifiche normative, è saggio tutelarsi intraprendendo azioni preventive.” Ah sì, redigere un chiaro regolamento che nessuno leggerà mai. Ottima idea!

Curioso come ci siano esperti che si sentono in dovere di impartire regole e principi, come se le aziende fossero un asilo nido per adulti in cerca di attenzione. Carmine Guarino di Partner d’Impresa ci tiene a far sapere che queste linee guida non sono un obbligo, ma un’opportunità. Wow, che generosità!

Si tratta di una bella protezione legale per l’impresa, certo, perché nulla dice “professionalità” come un documento che parla per te, mentre tu sei in fondo alla sala a sorseggiare il tuo caffè.

Molto ovviamente, il regolamento aziendale è considerato un salvagente per quegli imprenditori che desiderano stabilire criteri oggettivi per valutare performance e comportamenti dei loro collaboratori. Come se avessero improvvisamente deciso di smettere di valutare le persone a occhio e croce.

Inoltre, pare che questo strumento sia la base per far partire un piano incentivi che stabilisca obiettivi e ruoli. Ciò che ci si aspetta da ognuno, insomma. Un passo avanti immenseo in un’epoca in cui molti sembrano avere difficoltà a capire cosa fanno ogni giorno al lavoro.

Ciò dà anche l’illusione che ci sia un sistema di pre-contenzioso e mediazione, come se le aziende fossero una sorta di tribunale di pace. “Guarda, anche se non abbiamo risolto il conflitto, almeno ci abbiamo provato” sembra essere il mantra. Sì, come no.

Ma aspetta, c’è di più! Non solo il regolamento aziendale rafforza la compliance contrattuale, ma assicura anche che ogni dipendente sia perfettamente informato delle regole interne. Che fantastica rivelazione!

E quando finalmente queste regole vengono adottate, diventano vincolanti. Facile pensare di includere nel contratto di lavoro, ma solo a patto che non contraddicano leggi o contratti nazionali. Davvero un enigma da risolvere!

Stabilire con chiarezza quando e perché ricorrere a contratti a termine diventa un altro passo audace, insomma. Non che nessuno avesse mai sentito parlare di necessità organizzativa prima, giusto?

Così facendo, si evita di trovarsi in situazioni ambigue. Ma chi può davvero dire con sicurezza che il mondo del lavoro non abbia le sue belle complicazioni? Forse basterebbe un po’ di buon senso, ma chi lo cerca davvero?

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