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Roma alle prese con la solita farsa: regole confuse, soldi a pioggia e la solita strategia Ue da cartellino rosso sulla transizione digitale e il cloud

Roma alle prese con la solita farsa: regole confuse, soldi a pioggia e la solita strategia Ue da cartellino rosso sulla transizione digitale e il cloud
Grande interesse al convegno sul futuro del cloud fra Italia ed Europa: una sfida a colpi di dati, regolamenti e gigafabbriche

Non è servito un invito alla novità per riempire la sala del Palazzo dell’Informazione a Roma, dove si è tenuto il convegno su “Il futuro del cloud in Italia e in Europa”. Una chicca per intenditori e suoi “stakeholder”, un incontro convocato da Adnkronos e Open Gate Italia, che ha attirato quei pochi illuminati – o volenterosi – rappresentanti istituzionali, accademici e industriali pronti a discutere di strategia digitale e di come salvare la competitività europea in un mondo che vola a velocità cloud.

In questa congrega di cervelli, dal vicedirettore dell’agenzia, Giorgio Rutelli, al presidente di Agcom, Giacomo Lasorella, passando per il capo di gabinetto dell’Antitrust Agcm Giovanni Calabrò e il prof. Stefano Salsano dell’Università Tor Vergata, oltre a pezzi da novanta come Federico Boccardi di Amazon Web Services e una nutrita pattuglia tra europarlamentari e dirigenti della Commissione Europea, si è cercato di districare la matassa del cloud europeo.

Il cloud, infatti, non è più solo un argomento da nerd o da startup siliconiche, ma l’infrastruttura orizzontale per tutta la produttività europea. È il pilastro tecnologico su cui si reggono digitalizzazione, resilienza, risparmio di costi e, guarda un po’, anche la cybersecurity. E non dimentichiamo la ciliegina sulla torta: l’intelligenza artificiale, che si fa strada grazie alla nuvola, pronta a rivoluzionare i modelli di business tradizionali.

Peccato che i numeri raccontino una storia diversa, più simile a un ottovolante in discesa. Eurostat fa sapere che nel 2023 appena il 45,2% delle organizzazioni europee si è convertito al cloud, una performance da far arrossire se si pensa all’obiettivo – ambiziosissimo, certo – del 75% fissato dall’UE per il 2030, dentro quel mirabolante “Decennio Digitale” che sembra più uno slogan da campagne elettorali che un piano reale.

Nel corso del convegno è stato chiaro come la partita non si limiti ai freddi server o ai dati: si parla di rafforzare infrastrutture e regole europee, in fretta e bene, visto che non solo si deve rincorrere la Cina e gli Stati Uniti, ma si deve anche resistere alle sfide geopolitiche che minacciano il “sogno europeo” di autonomia digitale. L’Unione Europea, che sembra più a volte un cantiere aperto, sta preparando, udite udite, il “Cloud and AI Development Act”, una specie di ricetta magica per sfornare “Gigafabbriche dell’intelligenza artificiale”. Questo non prima della fine del 2025, però – perché mica si può fare tutto subito, l’innovazione richiede tempi burocratici.

Non contenti, i signori di Bruxelles lavorano anche a una Strategia europea per l’Unione dei dati, con tanto di condivisione sicura che fa tanto “privacy prima di tutto” ma che, in soldoni, dovrebbe mettere ordine nel caos digitale e favorire scambi di informazioni tra vari attori senza far scoppiare un incidente di percorso da GDPR infinito.

Digital Networks Act si presenta come l’eroe che dovrebbe magicamente semplificare il groviglio regolatorio delle telecomunicazioni, abbassare gli oneri e, perché no, spronare gli investimenti nelle tanto favoleggiate reti digitali del futuro. Peccato che questo futuro sembri ancora un miraggio sulla carta.

Nel frattempo, sul nostro bel suolo nazionale, il dibattito non è da meno in termini di spettacolo tragicomico. A marzo, Agcom – l’autorità che dovrebbe garantire, tra le altre cose, il buon senso nelle comunicazioni – ha deciso di giocare a fare il veggente aprendo una consultazione pubblica a cui nessuno aveva chiesto troppo, ma che nasce dalle vicende non proprio rose e fiori del caso Dazn 2021. L’idea geniale? Valutare se estendere il regime di autorizzazione generale a chi si occupa delle Content Delivery Network (Cdn per gli amici). Per intenderci, quei sistemi che distribuiscono contenuti online come se fosse un giro in bicicletta.

Appena si sono messi a parlare i relatori, sono uscite fuori quattro dichiarazioni di intenti apparentemente condivisibili: accelerare gli investimenti pubblici e privati nelle “infrastrutture digitali” (tradotto: soldi, soldi e ancora soldi), garantire un’evoluzione armonica delle leggi da Bruxelles fin giù in Italia (come se fosse semplice mantenere l’ordine in questo caos), promuovere un ecosistema competitivo capace di… quante volte lo diciamo? Trattenere valore industriale e innovazione qui da noi, mica altrove. E infine, cosa da non perdere, consolidare l’approccio europeo alla sovranità tecnologica e dei dati. Insomma, un bel pacchetto di scuse per non cambiare nulla davvero, ma sembrare all’avanguardia.

Giacomo Lasorella, il presidente di Agcom, ci tiene a sottolineare questo momento storico di “grande trasformazione” che pare una di quelle frasi fatte da convegno, ma con un tocco di verità innegabile. Ci ricorda che dobbiamo adattare regole nate per le vecchie telecomunicazioni – quel bel mondo “classico” dove i telefoni erano attaccati con il filo – alla realtà odierna, piena di Intelligenza artificiale, Cdn e cloud. Obiettivo? Semplici regole chiare, capaci di dare una mano anche alle micro-imprese, senza farci un mazzo così.

Poi arriva Federico Boccardi, il guru della “Connectivity Policy Europe” di Aws – Amazon Web Services, che con quella pacatezza certosina ci fa scoprire che il cloud, quella cosa misteriosa e onnipresente, è una piattaforma orizzontale essenziale per la tanto agognata trasformazione digitale di aziende e amministrazioni pubbliche. Peccato che, nella sinfonia normativo-regolatoria, il settore telecom sia tutto verticale. E quindi l’idea di allargare equilibri e regole delle telco anche al mondo fluido e nebuloso del cloud non è una passeggiata in giardino, anzi: serve un’analisi mica da ridere, con valutazioni precise sugli impatti che porterà questa pietra miliare. Chissà se poi riusciranno a fare qualcosa di concreto o resterà solo un altro capitolo delle cronache inutili.

L’evento si è concluso, come da copione, con l’annuncio trionfante di una “fase stabile di approfondimento e confronto interistituzionale”. Tradotto: tante altre chiacchiere con istituzioni, imprese, accademici e cittadini che forse nessuno sa bene cosa fare, ma che promettono di sorvegliare lo sviluppo digitale d’Europa con una “visione condivisa, inclusiva e sostenibile”. Ogni giorno è buono per illuderci che l’innovazione tecnologica venga accompagnata con senso e strategie. Ma per ora ci accontentiamo di qualche dichiarazione d’intenti e tanto, tanto rumore di fondo.

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