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Scontro? Non siamo noi a averlo iniziato

Non sembra affatto che la Commissione Europea sappia come affrontare la questione dei dazi con gli Stati Uniti. Anzi, Ursula von der Leyen ha dichiarato che “non è l’Europa a iniziare questo scontro”. Una posizione che suona quasi comica, considerando che nessuno, a parte lei, sembra prendere sul serio il suo appello alla “unità e determinazione”. Che ironia, dire che non vogliono rappresaglie quando si prepara a difendersi come se fosse un accampamento di pionieri circondato da banditi.
La presidente è poi andata avanti a dire che il loro obiettivo è “una soluzione negoziata”. Dev’essere una di quelle soluzioni che si trovano tra un bicchiere di vino e l’altro in un summit che si protrae all’infinito, senza nulla di concreto. È bello immaginare, tuttavia, che l’“unica risposta” dell’UE sia la diplomazia, mentre Trump è già pronto a lanciare i suoi missili tarifari contro “coloro che hanno approfittato degli Stati Uniti”. Ma che cosa c’è dietro questa apparente serenità? Un misto tra impotenza e giustificazioni vuote, eppure questa “unità” sembra più una pandemia di frammentazione.
Il messaggio che l’UE tenta di comunicare, che una “risposta forte” è preparata, si scontra con la realtà: la verità è che le vere barriere sono “interni”. Nella sua retorica, von der Leyen ha menzionato una stima del Fondo Monetario Internazionale che sostiene che le “barriere” interne equivalgono a un dazio del 45% per la produzione e del 110% per i servizi. Ma chi lo ammette mai apertamente? Che brutale paradosso: i nostri veri nemici sono i nostri stessi ostacoli burocratici!
La presidente ha parlato di ridurre i “troppi ostacoli” per le pmi e di semplificare le procedure. Potremmo trarre spunto dalla sorprendente facilità con cui la Cina gestisce il commercio estero rispetto alla nostra palude burocratica. In effetti, da qui a realizzare un vero mercato unico, il passo sembra un’impresa titanica. Ma continuiamo a promettere soluzioni “ambiziose” e pacchetti di semplificazione come se fossero fantasticherie da regolette di benessere.
Manca grinta ed azione veritiera nei discorsi sul “forte consenso” su queste idee, che suonano più come vaghe promesse di un delirio di onnipotenza. La domanda che tutti si pongono è: come può essere più facile per le aziende tecnologiche lanciare un nuovo servizio in tutta Europa, quando sono già bloccate da 27 piaceri burocratici?
E per finire, la Commissione ha promesso un “28esimo regime legale per le aziende innovative”. Quante volte ci hanno già promesso miraggi simili? Senza dubbio, il panorama europeo è un mosaico di inefficienza e frustrazione. Le soluzioni ipotetiche si accatastano uno sopra l’altro, ma la maledetta realtà è che, in un contesto così intricato, ogni proposta finisce nel limbo dell’inefficienza. Dunque, l’unica certezza che rimane è l’ironia che si cela dietro l’illusione di un’Europa unita e competitiva.