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Strategia di difesa europea, le dichiarazioni del ministro Giorgetti

Per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, la questione di come finanziare l’aumento delle spese per la difesa nell’UE è così delicata che serve prima il “sacro” vertice della Nato, che si svolgerà a fine giugno all’Aja. Strano che una così rilevante decisione debba essere rimandata a un incontro così ambito. L’idea di instaurare un meccanismo europeo di difesa, ispirato al Mes, è “solo una delle proposte sul tavolo”, chissà quante altre ce ne saranno nel limbo dell’indecisione politica.
Quando si parla di “decisiva” politica, Giorgetti avverte che bisogna aspettare. E quel “prima” che fa la differenza, a sentir lui, è per garantire che il potenziamento della difesa europea non contraddica il grande amore per l’Alleanza atlantica. Rigoroso, vero? E intanto il governo si prepara ad aumentare i fondi per la difesa, ma senza toccare la tanto temuta “clausola nazionale di salvaguardia”. L’obiettivo è mirare alla spesa senza attivare questa clausola, che non è altro che un alibi a scadenza. È come promettere un viaggio in una villa a cinque stelle senza usare il bonifico bancario. Già, perché attivarla significherebbe dover ammettere che la spesa pubblica è un grosso problema.
Il meccanismo di finanziamento del riarmo europeo, però, fa parte di un mondo affascinante di posizioni “diversificate” tra i vari membri UE. Certo, ci sono stati fiumi di parole durante l’Ecofin informale a Varsavia. E mentre si cerca di “coordinarsi”, l’idea che le nazioni possano avere “sensibilità” diverse è quasi comica. La Germania ha margini fiscali; l’Italia è invece a secco, ma si parla comunque di un presunto “programma Safe” che offre prestiti fino a 150 miliardi di euro. Davvero? Questo risolverebbe tutto? La verità è che il programma è solo un palliativo, un bel dipinto sopra un muro scrostato.
E poi ci sono i dazi, questi sconosciuti! Giorgetti lamenta il danno che questi provocano all’economia italiana, insinuando che le politiche di dumping della Cina influiscono. Ma, sorprendentemente, non vedo nei suoi fiumi di parole un piano vero per fronteggiare questa “guerra commerciale”. C’è chi vola in Cina, come la presidente della BCE, e chi siede a Washington, come se il nostro destino fosse nelle mani di altri. Parlare con tutti è giusto, certo, ma dove sono le azioni concrete?
Insomma, nel mondo della politica europea, l’apparente chiarezza si tinge di sfumature ambigue. L’unica costante è il ritardo nel prendere decisioni, come se l’urgente necessità di difesa potesse attendere un risutato di un meeting annuale. La verità, amara e disillusa, è che mentre si parla della buona volontà di “coordinarsi”, l’Europa continua a vagare, forse a un passo da una crisi che era possibile prevedere e a cui è inetto rispondere. Perché, in fondo, l’unica vera certezza rimane l’incapacità di agire quando le circostanze lo richiedono. Anche se si potrebbe sempre affermare che la soluzione è a portata di mano — non fosse che nessuno se la sente di afferrarla.