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Tariffe statunitensi, le prossime mosse dell’Italia secondo Giorgetti

Dopo i recenti dazi imposti da Donald Trump, ci si impegna in una **de-escalation** delle tensioni con l’amministrazione statunitense, come afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante un workshop presso Villa d’Este. “Da governo, dobbiamo mantenere il sangue freddo e valutare gli impatti, evitando una guerra commerciale che, lo dico chiaramente, sarebbe dannosa per tutti, specialmente per noi”, dichiara. Ma siamo sicuri che il “sangue freddo” sia ciò di cui abbiamo bisogno in un contesto che già grida di incoerenza?

Questo approccio “deve essere esteso anche a livello europeo”, continua Giorgetti. A chi sostiene che l’Italia debba trattare da sola, il ministro risponde: “Dobbiamo difendere gli interessi italiani in Europa”, come se l’unità europea non fosse un concetto per cui la nostra nazione ha battagliato. Ma allo stesso tempo, ci viene ricordato che gli interessi commerciali sono di competenza europea. Ironico, vero?

Parlando dell’instabilità dei mercati, Giorgetti esorta a non “pigiare il pulsante del panico”. Sì, certo, le borse sono famose per il loro comportamento irrazionale; crescono all’improvviso senza spiegazione, e crollano altrettanto misteriosamente. Questa “reazione istintuale” del mercato sembra una scusa per giustificare l’imprevedibilità dell’economia piuttosto che una causa di fiducia.

La crisi della globalizzazione: un’opportunità o una scusa?

Secondo Giorgetti, “la fase della globalizzazione è in crisi”. Ma non è forse **ridicolo** valutare il “free trade” sotto una nuova luce dopo aver ignorato le **conseguenze sociali** e politiche? La globalizzazione ha chiaramente favorito chi ha sfruttato pratiche non di mercato, dal momento che l’intera economia mondiale sembra ruotare attorno a chi ha il potere economico. E che dire della tendenza al **protezionismo** dell’amministrazione Trump? Tutto in nome di “una logica conseguenza”? Davvero un cambiamento di portata storica…

La “politica commercialmente utilitarista” di Trump non ha risparmiato nemmeno i cosiddetti amici politici; stati chiaramente guidati da ideologie opposte a quelle democratiche vengono trattati meglio di chi, ostinatamente, aderisce ai principi di libertà. La contraddizione qui è evidente: è tutto un gioco di affari, ma che fine fanno i valori?

Un’Italia resiliente… ma fino a quando?

Giorgetti ci assicura che l’Italia è formata da imprenditori “molto svegli e reattivi”, dotati di una resilienza che supera la media. Basti pensare a come ci siamo ripresi dalla pandemia di Covid. Ma questa resilienza, chiama in causa, riuscirà a sopportare ciò che si profila all’orizzonte? Con un rischio economico che aleggia e l’invito a rileggere l’articolo 25 del Regolamento GBER, si chiede se ci sia una logica conseguenza a tutto questo. È un invito a riflettere o un modo per giustificare la nostra inazione?

Le promesse svanite di riforme che avrebbero dovuto portare a benessere e stabilità si scontrano con il vuoto delle azioni oramai consolidate. Fino a quando ci si giustificherà con la resilienza, nascondendosi dietro i numeri mentre i cittadini affrontano la **realtà**? Chissà, forse un giorno il dialogo economico non sarà solo un’illusione da riformare, ma diventerà realmente un’opportunità. O forse no. La storia ha già mostrato di non essere troppo gentile con le speranze infondate.

L’articolo 26, discusso con fervore nel contesto del piano di investimenti per la difesa europea, rappresenta un **paradosso** in un sistema che, a parole, si mostra unito e, nei fatti, è un colabrodo di **inefficienze**. Gli Stati membri si trovano a dover *allargare le maglie della spesa* per salvaguardare le loro realtà locali, mentre si richiama all’**unità** europea. Giorgetti osserva con una certa rassegnazione che “i nostri spazi di bilancio sono profondamente diversi” dagli altri e, non a caso, si parla già di aiuti per i settori colpiti dalla *guerra commerciale* di Donald Trump, come se la **vittimizzazione** giustificasse le scelte misere e disperate di bilanci che, evidentemente, non sono all’altezza.

Chi decide davvero?

Nel bel mezzo di questo **diluvio** di affermazioni, emerge Tajani, il vicepremier e ministro degli Esteri, il quale chiarisce che “trattare con gli USA in materia commerciale è competenza esclusiva della commissione europea”. Ma stiamo davvero parlando di **competenza** o piuttosto di un’esibizione di impotenza? Le norme e i trattati fanno parte di un linguaggio apparentemente glorioso, ma nella pratica, si traducono in un immobilismo strisciante. La **discussione** diventa il rifugio delle istituzioni incapaci di affrontare il problema.

Per chi ha voglia di *drammatizzare*, i dazi sembrano essere un miraggio, un evento **invisibile** che toccherà solo lo 0.3% del PIL europeo. Quindi, ecco l’invito alla calma, come se la tranquillità possa magicamente risolvere le **mancanze** di azione concreta. Solo belle parole e sostenibilità apparente. Ma chi può dirlo, se il dolore delle piccole imprese che si trovano schiacciate tra le politiche di **austerità** e le **guerre** commerciali non diventa il tema centrale di una conversazione di “sostegno”?

Un piano che puzza di fumo

Tajani, sempre pronto a *esplorare* nuovi mercati, annuncia un piano “per rafforzare le nostre imprese sui mercati emergenti”. Qui il velo di **ottimismo** è palpabile. Un incontro con le imprese olandesi alla Reggia di Caserta? Un viaggio in India e Giappone? E mentre l’**Europa** si espande a macchie di leopardo, si ignora il ghiaccio sottile su cui camminiamo. Le promesse di un governo *coordinato* con l’UE sembrano più un canto goliardico che una risposta plausibile a una crisi di **dimensioni** globali.

Ma ovviamente, tutto questo si riassume in una frustrazione: come è possibile che ancora oggi, in un mondo tanto **interconnesso**, si discuta di ristrutturare il futuro senza effettive soluzioni? L’unica certezza è che le scelte più lungimiranti rimangono bloccate in un’**era** di parole vuote, lasciando i cittadini in balia di un ciclo **vicioso** di promesse dimenticate. Una ristrutturazione delle promesse? Forse ci vorrebbe, ma siamo pronti a scommettere che, anche questa volta, sarà solo fumo negli occhi.

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