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Ue che fa, finalmente chiude il rubinetto russo a gas e petrolio dal 2028: meglio tardi che mai?

L’Ue programma un addio graduale a gas e petrolio russi entro il 2027, ma non senza qualche sorriso amaro

L’Unione europea ha deciso che, entro la fine del 2027, bloccherà progressivamente le importazioni di gas e petrolio dalla Russia. Ovviamente, tutto avverrà “in modo graduale”, per non fare troppo rumore e non mettere in crisi nessuno, soprattutto i mercati e le aziende europee che ancora oggi fanno praticamente la spola con i combustibili fossili russi. Per realizzare questo pezzo di virtuosismo politico, la Commissione europea ha messo sul tavolo una proposta legislativa ambiziosa – o almeno così la vogliono far sembrare – che punta a liberare l’Unione dai rischi economici e di sicurezza legati alla dipendenza da Mosca.

Il regolamento che bolle in pentola dovrebbe “rafforzare l’indipendenza energetica e la competitività dell’Unione”, insomma un mix di aspirazioni green con tanto pragmatismo, o almeno ci si prova. Invece di chiudere il gasdotto con un colpo secco, si sceglie un addio a bassa intensità drammatica, in perfetto stile Ue: molto su carta, tanta diplomazia e un pizzico di incertezza sulle reali conseguenze.

Ursula von der Leyen non si è fatta attendere e ha sganciato la classica frecciatina verso Mosca, accusata di usare il gas come una clava per ricattare l’Europa: “La Russia ha ripetutamente tentato di ricattarci, trasformando le sue forniture energetiche in armi”. Segue la promessa di una chiusura del rubinetto “una volta per tutte”, come se bastasse una dichiarazione ad azzerare anni di relazioni complicate e contratti incrociati.

La proposta non è nata dal nulla, ma prosegue la tanto decantata roadmap di RePowerEu, approvata appena un mese fa. Il piano prevede una progressiva messa all’angolo del gas russo, il tutto condito da una virtuosità tutta europea che enfatizza “solidarietà” tra gli Stati membri e la transizione verso un’economia agli antipodi dei combustibili fossili. Un sogno, più che un piano, se consideriamo le dipendenze concrete e le difficoltà infrastrutturali.

In teoria, la Commissione vuole “preservare la sicurezza dell’approvvigionamento” e contemporaneamente limitare l’impatto su prezzi e mercati, come dire: facciamo un bellissimo piano che non disturbi nessuno. A supporto di questa narrazione, si sostiene che i volumi russi residui potranno essere eliminati “senza impatti economici significativi” grazie a fornitori alternativi globali, a un mercato europeo ben interconnesso e alla disponibilità delle infrastrutture necessarie per importare altrove. Facile a dirsi, meno a farsi.

A oggi, i numeri parlano chiaro (anche se un funzionario Ue li ammette “con un filo di voce”): l’Unione importa ancora circa 35 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia. Di questi, ben 20 miliardi arrivano sotto forma di gas naturale liquefatto (Gnl) dalla penisola di Jamal, cioè dalle gelide sponde del Mare di Kara in Siberia Nordoccidentale, trasportato via nave principalmente verso terminal del rigassificazione in Francia, Spagna, Olanda e Belgio. Il resto, circa 15 miliardi, scorrono attraverso il gasdotto TurkStream, un’elegante tubatura che corre sotto il Mar Nero, con tappe in Grecia, Ungheria e Slovacchia.

Per rendere il tutto meno traumatico, la proposta prevede una serie di misure “di salvaguardia integrate” per adattarsi alle dinamiche di mercato, promettendo alle aziende un “solido quadro giuridico”. Che tradotto significa: niente sorprese, ma tanta buona volontà e qualche compromesso di facciata. L’auspicio è che eliminare gradualmente i combustibili fossili russi serva davvero a spingere la Ue verso gli obiettivi della cosiddetta “bussola della competitività”, il “Clean Industrial Deal” e il piano per un’energia sempre più “accessibile” e pulita.

Insomma, un discorso ambientalista con la coda di paglia, che punta a un futuro in cui l’Unione sarà finalmente “più indipendente e più pulita”. Il tutto condito però da una buona dose di realismo: nessuno vuole qui rischiare di rimanere al freddo durante l’inverno, né di vedere il conto energetico schizzare alle stelle. Restano da vedere i prossimi passi concreti e quanto questa bella teoria raramente messa in pratica saprà davvero scalfire quella fastidiosa realtà chiamata dipendenza energetica dalla Russia.

Il piano è semplice quanto geniale: eliminare gradualmente il gas proveniente dalla Federazione Russa, che sia via gasdotto o sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL), a partire da contratti nuovi e poi via via quelli in essere, fino a un divieto totale entro il 2027. Ovviamente, ci vogliono piani dettagliati di diversificazione da tutti gli Stati membri – sì, quei paesi che hanno, per caso, un’opzione diversa dal gas russo. E per rendere il tutto più gustoso, c’è pure il divieto di importare petrolio russo entro la fine del 2027.

Ora, attenzione alla chicca: contratti a breve termine per il gas russo? Si sospendono entro metà 2026. Ma per chi non ha sbocco sul mare (leggasi: sfortunati e bloccati), il gas russo via gasdotto sarà ampiamente concesso fino a fine 2027. E poi? Dal 2028 amen, bye bye gas russo in Europa. Naturalmente, tutto al fine di evitare che i consumatori europei si ritrovino con bollette impazzite, perché un divieto drastico senza un piano B non è molto “cool”.

Ah, e non dimentichiamo il divieto per i contratti a lungo termine su terminali GNL che servano clienti russi, o aziende controllate da Mosca: così la capacità di questi terminali potrà finalmente essere usata… per altri fornitori. Fantastico, no?

Senza dubbio, la Commissione Europea garantisce che tutto sarà accompagnato da monitoraggi per non far saltare tutto – grazie anche al lavoro dell’Agenzia UE per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (quella che più burocratica non si può). Se la sicurezza dell’approvvigionamento vacillerà in qualche Stato membro, ecco pronte le “misure di emergenza” – perché nulla rassicura di più di poteri straordinari da Bruxelles!

Per assicurarsi che nessuno faccia il furbo, le aziende importeranno gas russo dovranno fornire ogni benedetta informazione possibile sulla strada del gas dal pozzo al rubinetto europeo. Trasparenza, si chiamano, almeno a parole. Naturalmente, tutto sotto l’occhio attento delle autorità doganali e della Commissione, che si cimenterà nel compito quasi eroico di tracciare ogni molecola di gas.

Per passare da parole a fatti, servirà la solita trafila di accordi comunitari: proposta alla mano, il Parlamento Europeo e il Consiglio dovranno spuntare il sì con una maggioranza qualificata. E qui arriva il classico siparietto di sempre: l’Ungheria fa la voce grossa, accusando Bruxelles di aggirare il veto nazionale e imporre una sanzione di fatto per la guerra in Ucraina senza unanimà. Insomma, Budapest non gradisce che la maggioranza voti a favore di una sanzione che quella stessa nazione dovrebbe approvare all’unanimità. Chi l’avrebbe mai detto che la politica europea fosse così… politica?

Infine, la Commissione promette di stare vicina agli Stati membri “più colpiti” e di continuare a negoziare diversificazione e miglioramenti infrastrutturali. Tradotto: nessuno rimarrà completamente scoperto, anche se la vera domanda rimane quanto costerà tutto questo sforzo e quanto c’è di reale efficienza nella scelta di allontanarsi dalla dipendenza russa con una velocità che fa sorridere solo gli ottimisti incalliti.

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