Notizie
Un settore milionario da 47,5 miliardi che brilla più del Pil ma nessuno ne parla

Quest’oggi, all’Auditorium della Tecnica di Confindustria a Roma, si è svolta l’annuale Assemblea di Assobiotec, ovvero l’associazione che, come una sorta di salotto buono delle biotecnologie italiane, riunisce istituzioni, scienziati, accademici, industrie e finanzieri europei e nazionali. Dopo il momento riservato ai soli soci, è stato il turno del consueto convegno pubblico intitolato “Biotech Act: opportunità e sfide per l’Italia e per l’Europa nel nuovo scenario geopolitico”, in cui è stato ricordato, con orgoglio non proprio sobrio, che le biotecnologie in Italia avrebbero generato un giro d’affari di ben 47,5 miliardi di euro nel 2023 — sì, proprio il 2,23% del Prodotto Interno Lordo nazionale, per chi ama le cifre che suonano imponenti.
L’Assemblea ha deciso di affidare ancora una volta le chiavi di questo regno a Fabrizio Greco, amministratore delegato di AbbVie Italia, confermandolo alla presidenza di Assobiotec per un altro triennio 2025-2028. Nel suo discorso da presidente già rieletto, Greco ha ribadito, con quella continuità quasi religiosa che solo le cariche associative sanno garantire, le linee guida del suo mandato: aumentare la consapevolezza del “valore” delle biotecnologie, ovviamente attraverso un approccio “data-driven”, cioè dati alla mano per sostenere politiche e legislazioni con riscontri oggettivi – perché, si sa, senza numeri nessuno compra nessuna promessa.
Oltre a questo, Greco ha incastonato nel programma del prossimo triennio l’obiettivo di contribuire a una visione in cui la formazione scientifica dei giovani, la ricerca e la trasformazione delle idee in soluzioni concrete per i cittadini rappresentano il mantra dell’innovazione italiana. Un pallino abbastanza classico, ma che speriamo non resti solo un passaggio rituale nei consueti tavoli burocratici. Infine, ha promesso il supporto per dare all’Italia un ruolo da protagonista nello sviluppo delle strategie europee sulle biotecnologie, in vista di un discusso ma non ancora approvato Biotech Act a livello comunitario.
Confermati anche i vicepresidenti: la Elena Sgaravatti di PlantaRei Biotech e Carlo Rosa di DiaSorin, segno che un po’ di stabilità non guasta nel panorama un po’ scombussolato delle associazioni biotech nazionali.
Al convegno non poteva mancare il contributo istituzionale che spesso si traduce in parole altisonanti e buoni propositi poco più che abbozzati. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha fatto pervenire una lettera dove, stranamente senza scendere troppo nei dettagli pratici, ha sottolineato la centralità strategica del settore biotecnologico. Il messaggio? Costruire una legislazione dedicata, il famoso Biotech Act, che dovrebbe promuovere l’innovazione, accelerare la tanto decantata transizione verso un’economia più verde e garantire quell’indipendenza strategica a cui tanto ambiscono i nostri regolatori. Tutto ciò inserito in un quadro di azioni coordinatissime a livello europeo, che includono la strategia sulle scienze della vita, la bioeconomia e il Clean Industrial Deal — un pacchetto di buone intenzioni che aspetta solo di essere tradotto in fatti e non in semplici dichiarazioni di facciata.
Il Commissario europeo per la Salute e il Benessere animale, Olivér Várhelyi, ha voluto lasciare il suo videomessaggio enfatizzando le enormi potenzialità che le biotecnologie rappresentano, specialmente in un’Europa che si ritrova improvvisamente a fare i conti con una nuova geopolitica, assai meno indulgente con le sue dipendenze industriali dal resto del mondo.
D’altra parte, nulla come le biotecnologie riesce a mettere sotto i riflettori l’eterna dualità tra promesse di crescita e la dura realtà di infrastrutture, investimenti e formazione che troppo spesso si impantanano nel pantano burocratico italiano. Il Biotech Act, quindi, parrebbe la nuova frontiera su cui far convergere tutte le speranze di un’Italia che vuole esser protagonista e non spettatrice — salvo poi scoprire che, tra una consultazione e l’altra, la vera innovazione resta ancora un miraggio per molti.
Insomma, mentre il palco di Confindustria celebra numeri e rinnovi, restiamo in attesa di vedere se questo show tutto made in Italy riuscirà davvero a trasformarsi in qualcosa di concreto o se finirà solo per alimentare l’ennesima stagione di buone intenzioni e documenti bellissimi ma poco più.
Che bello, l’Europa ha finalmente scoperto il fantastico potenziale delle biotecnologie: opportunità per innovare e produrre sul nostro amato continente. Peccato però che, troppo spesso, le scoperte made in Europe rimangano chiuse nei laboratori o, peggio ancora, vengano sviluppate altrove. Fantastico, no? Ecco allora la ricetta miracolosa: serve un ecosistema “favorevole”, composto da regole semplici (facile in Italia!), investimenti mirati (magari invisibili) e competenze adeguate (chissà da dove arriveranno). Il tutto per trasformare la scientifica leadership europea in un motore concreto di crescita e competitività attraverso questo nebuloso Biotech Act. Ovviamente uno dei tante promesse sbandierate per il 2026.
Durante un’Assemblea pubblica, che tanto fa costume ma poco cambia, è stata presentata la “nuova fotografia” del biotech italiano, grazie a una mappatura all’avanguardia di Assobiotec. Grazie all’analisi dei codici Ateco e a stime piuttosto audaci sulla quota biotech nei vari settori industriali, il report ci regala l’immagine di un settore multiforme, trasversale e in vertiginosa espansione – parola del testo, non mia.
Le cifre da urlo? Un fatturato stimato per il 2023 superiore a 47,5 miliardi di euro, pari al pittoresco 2,23% del nostro Pil nazionale; ben 4.888 imprese, dove il Nord Italia fa la voce grossa con il 73% del valore prodotto e il 48% delle aziende; una plebaglia di microimprese che costituiscono il 54% del totale, ma anche qualche gigante – fino al 20%; e un esercito di circa 80mila addetti, stipati nella coppia Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, come fosse un club esclusivo. Fantastico, vero?
Greco, che evidentemente ama sottolineare l’ovvio, commenta così: le biotecnologie sono tecnologie abilitanti e trasversali, sanno offrire risposte concrete alle “grandi sfide” di salute, sostenibilità, produttività e autonomia strategica. Insomma, un settore chiamato a crescere e, guarda un po’, che Stati Uniti e Cina già sfruttano per aumentare il proprio peso geopolitico. L’Europa però non sta certo a guardare, con il suo European Biotech Act, la panacea prevista per il 2026. Siccome l’Italia fa sempre da fanalino di coda, il messaggio è chiaro: per essere davvero competitivi bisogna innovare, ma non basta; serve un ecosistema nazionale forte, dove formazione, ricerca, sviluppo, produzione e accesso al mercato si tengano per mano in un ballo perfetto. Una sfida collettiva, una chance per l’intero Paese, così recita il copione.
Al galà della serietà è stato pure consegnato l’Assobiotec Award 2025 al mitico Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica e professore ordinario a Milano. Il premio, nato nel lontano 2008, è dedicato a chi si distingue per l’ardua missione della ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico. Naldini, per qualcuno un santo della scienza, è stato premiato “per il suo contributo straordinario nella cura delle malattie genetiche e oncologiche”, grazie a un lavoro così pionieristico da sembrare uscito da un film di fantascienza. Un ambasciatore dell’eccellenza italiana nel mondo, portatore sano di innovazione, competenza e passione. Il tipo che, come scienziato, innovatore e imprenditore, avrebbe aperto la porta a una nuova era di medicina più personalizzata e mirata. Dal palco e dai titoli si percepisce profonda gratitudine, mentre si prega il cielo che tutto ciò non rimanga solo un superbo manifesto di intenti.