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Unicredit e l’Italia che fa la voce grossa con Bruxelles: sicurezza nazionale o solo scuse per proteggere gli interessi russi?

Ah, il glorioso “Golden power”. Quel potere magico che l’Italia brandisce con orgoglio per difendere gli intoccabili “interessi economici e finanziari”, perché, si sa, la sicurezza nazionale è roba seria da non sottovalutare, specialmente quando si tratta di risparmiatori che quel risparmio lo vogliono vedere tutelato, non volatilizzato in qualche operazione bancaria. Ecco quindi la lettera tutta seria del ministero dell’Economia inviata all’illuminato Ue, più precisamente alla Dg Comp, con quell’impalcatura di clausole e rassicurazioni che il governo ha approvato, dichiarando tutto legittimo, fattibile e pienamente nel diritto di applicare quei famigerati poteri speciali sull’operazione Unicredit-Banco Bpm. Il tutto condito da una chicca decisamente poco casuale: Unicredit dovrà sbrigarsi a uscire dalla Russia entro il 18 gennaio. Perché, ovviamente, essere coerenti è la priorità di un gigante bancario coinvolto in una missione esemplare di salvataggio risparmiatori.

Ecco il fulcro di questo intrigo all’italiana: un fiume di depositi e risparmi che si unisce, si fonde, si mescola per centinaia di miliardi, creando quella che evidentemente è una questione di sicurezza… economica, ovviamente. Insomma, un’ottima scusa per giustificare azioni di potere sovrano in un contesto europeo che ogni tanto scuote la testa per la confusione tra politica e affari.

Il 60% del capitale detenuto da investitori extra-Ue: un dettaglio poco trascurabile

Ma aspettate, non è finita qui. L’Ue, mai troppo sorda alle note stonate di questo balletto bancario, aveva espresso qualche dubbio (quasi un’irriverenza) sull’idea che due signori italiani potessero improvvisamente fondersi senza problemi. A quel punto, il governo si è giustamente schermito con una risposta da applausi: oltre il 60% del capitale di Unicredit è in mano a investitori extra-Ue. Magari un giorno qualcuno ci spiegherà perché un’azienda “italiana” abbia più azionisti fuori dall’Europa che dentro, ma intanto godiamoci questo spettacolo geografico. Per inciso, il Regno Unito – quel luogo di raffinata indipendenza post-Brexit – pesa per un bel 20% nell’azionariato, mentre la Norvegia, da brava outsider, regala anch’essa la sua quota di protagonismo. Tradotto: il 40% dei capitali è americano, cioè praticamente a casa di zio Sam, e poco importa se siano più o meno sotto gli occhi vigili dell’Ue.

Fortunatamente, il vero e unico motivo urgente che salva la faccia a questo pasticcio politico-finanziario è l’addio annunciato alla Russia. Un saluto diplomatico che non guasta mai, specialmente quando l’Italia vuole mostrarsi bella e intransigente sul palcoscenico internazionale contro l’invasione dell’Ucraina. Un gesto eterno di coerenza, quasi commovente se non fosse così grottescamente simbolico.

Il Ministero dell’Economia e Finanze non perde tempo e si appiglia al regolamento sulle concentrazioni per spiegare la sacralità del “golden power”. Pare che ogni Paese – come un sovrano moderno – abbia il diritto esclusivo di decidere cosa è sicurezza nazionale e cosa no, senza dover dare conto né all’Unione Europea, né alla BCE, tanto meno alla Banca d’Italia o alla Consob. Una bella sinfonia di ego e istituzioni che si ignorano a vicenda, ovviamente a beneficio della sicurezza nazionale, che in Italia si traduce soprattutto nella tutela dei soldi altrui.

E come se non bastasse, è tornato a ricordarcelo anche il CEO di Unicredit, Andrea Orcel, un uomo di poche parole profetiche ma di grande chiarezza: niente mosse sull’ops di Banco Bpm senza trasparenza sulle prescrizioni. Ovviamente, al momento non si vedono “movimenti in quella direzione”, quindi prepariamoci a una lunga serie di scontri istituzionali condita di belle parole e discreta confusione, come è d’uso nel miglior stile italico.

Che sorpresa, un’altra epopea all’italiana per Banco BPM: senza paletti chiaramente definiti, nessun azionista si sogna minimamente di voler far continuare l’Ops. Complimenti al coraggio, o forse meglio dire al teatrino nazionale, visto che è l’unica banca italiana a essere presa di mira con regole così oscuramente strette.

Nel frattempo, per deliziare i mercati con un colpo da maestro, la banca annuncia che ridurrà gradualmente la sua partecipazione in Generali. Sì, proprio quella compagnia che, da mesi, è al centro di speculazioni febbrili su alleanze strategiche, mentre a fine aprile il banco si univa al coro dei “no” alla riconferma della dirigenza della società. Insomma, un addio alla Generali che farà sicuramente discutere.

Curiosa poi la mancanza di parole sullo 1,9% di partecipazione in Mediobanca: evidentemente un argomento troppo scottante per essere affrontato in conferenza. Tornando all’istituto che tutti stanno tenendo d’occhio, Andrea Orcel, il CEO, ci regala una perla di sincerità che più trasparente non si può: il premio sul rapporto di concambio resta. E lanciando una previsione di quelle rassicuranti, dichiara che la probabilità positiva è scesa ben sotto il 50%, quantificandola in un modesto 20%, ovvero un modo elegante per dire “le cose vanno proprio male”.

Nel frattempo, come se non bastasse, il TAR si preparerà a giudicare il ricorso sul cosiddetto “Golden power” dopo l’udienza del 9 luglio. Ma il vero appuntamento clou è domani, quando l’Antitrust dovrà esprimersi sull’agognata Ops sul Banco BPM. Non vediamo l’ora di scoprire se la giostra delle autorizzazioni e delle complicazioni burocratiche proseguirà o se arriverà finalmente un po’ di chiarezza – anche se il pessimismo regna sovrano.

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