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Vinitaly, Sicilia svela il ‘fenomeno Etna: un vino che racconta la cultura’

Al Vinitaly 2025, presso il Padiglione della Regione Siciliana, si è svolto un evento che ambisce a celebrare l’alleanza tra vino e cultura, etichettando la Sicilia come una sorta di ambasciatrice di qualità. Una narrazione che si ripete, quella dell’ineffabile Sicilia che, attraverso il suo vino e i prodotti gastronomici, si erige a baluardo del Made in Italy. Ma si tratta veramente di un faro di qualità o semplicemente di un’illustrazione amplificata dei soliti cliché?
Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, ha dipinto la Sicilia come un faro culturale, in un discorso che sembra più una dichiarazione d’intenti che un piano concreto. Parla del vino come un “biglietto da visita” per il mondo, promettendo una “protezione” di un patrimonio che, chissà perché, appare sempre più a rischio. Eppure, mentre celebra il “genio” siciliano, non si accorge dell’ironia di un sistema che, pur producendo vino di alta qualità, continua a lottare con un’economia stagnante e pratiche commerciali spesso inadeguate.
E cosa dire di Salvatore Barbagallo, assessore dell’Agricoltura? Si lancia nel coro della sostenibilità, proclamando la Sicilia come modello di eccellenza con il titolo di Regione Europea della Gastronomia 2025. Un titolo che suona più come un’etichetta blasonata che un reale impegno. Mentre parla di “politiche mirate” e “investimenti strategici”, la realtà delle piccole imprese locali è spesso di stagnazione e burocratizzazione, mentre il supporto tangibile rimane un miraggio.
Nel secondo panel, Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna Doc, cerca di dipingere un quadro idilliaco del valore dei vini dell’Etna, enfatizzando una tutela che abbraccia “360 gradi”. Ma in un periodo di transizione, ci si potrebbe chiedere: questa “tutela” è realtà o solo una frase ad effetto? Qual è il valore reale di quella biodiversità così celebrata?
Infine, non possiamo dimenticare Massimo Enrico Cimbali e il suo appello a preservare il pistacchio verde di Bronte Dop, descrivendolo come un prodotto “unico”. Eppure, mentre il mercato si riempie di imitazioni, ci si interroga: quale tutela ha realmente ricevuto? Da quando è diventato Dop, sembra suonare più come una rivendicazione che una vittoria.
Le parole scorrono, ma le concretezze sono spesso assenti. Siamo circondati da discorsi che promettono di portare avanti l’eccellenza e la sostenibilità, mentre nella quotidianità, le imprese fanno fatica a sopravvivere. In Sicilia, dove il vino dovrebbe raccontare una storia di mirabolanti successi e innovazione, ci si trova invece ad affrontare la dura verità della stagnazione e delle aspettative disattese.
E se volessimo davvero cambiare musica? La chiave sarebbe un approccio radicale: meno retorica e più azioni concrete, un piano di intervento che smantelli la burocrazia e faciliti l’accesso ai fondi per le aziende che davvero innovano. Ma, a questo punto, è lecito chiedersi se tutto ciò non sia solo un sogno, un’utopia in un’isola dove “promettere” sembra essere più facile che “realizzare”.