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Violetti di Confassociazioni digitala ci ricorda che la sicurezza informatica non è un optional per l’IA, ma nemmeno un mito da favola

Quando si parla di cybersecurity e intelligenza artificiale, si tratta di un gioco a due facce che non può permettersi di stonare. L’IA non esisterebbe senza una solida sicurezza informatica, e, attenzione, il rischio che i dati vengano contaminati è tutt’altro che un’incognita: dati alterati in ingresso significano risultati sbagliati in uscita. Un’affermazione che non sorprende, ma va ripetuta ad alta voce, soprattutto in un’epoca in cui la fiducia cieca nel digitale sembra un lusso per pochi.

Andrea Violetti, presidente di Confassociazioni digital, lo ha ribadito durante un convegno di lusso, tenutosi nientemeno che al Senato della Repubblica. Il suo intervento non era di quelli che piacciono ai “tecnici del momento”: ha posto l’uomo al centro, ricordando che è l’essere umano a dover controllare l’algoritmo e non viceversa. Quelle auto a guida autonoma delle quali ormai non si può più fare a meno? Beh, chi le crea deve portarsi appresso la responsabilità, tanto etica quanto legale, per ogni singola decisione controversa presa dal software. Insomma, non siamo in una favola futurista dove il computer fa quello che vuole, ma in una realtà in cui serve ben più di un click per scaricare la coscienza collettiva.

Altro capitolo da non sottovalutare: la sovranità digitale. Sorpresa o meno, gli imprenditori devono poter decidere cosa succede ai propri dati, così come gli Stati devono avere il pieno controllo dei dati dei propri cittadini. L’Unione Europea, per mandare un segnale, dovrebbe costruire datacenter in casa, non lasciare che gli altri giganti tecnologici facciano il bello e il cattivo tempo. E qui l’Italia fa una figuraccia: appena 191 data center, contro i 464 della Germania e i 3.840 degli Stati Uniti. Proposito per i prossimi 3-5 anni? Realizzarne almeno 100, sparsi per tutto il territorio nazionale, così da garantire sicurezza e continuità, ed evitare che le nostre informazioni finiscano in mano a qualcun altro. Di che preoccuparsi o forse solo di darsi una mossa.

Non è un caso che la conferenza si chiamasse proprio “Cybersecurity e Intelligenza artificiale”: un modo elegante per ricordare che queste tecnologie non sono nemiche, ma due facce dello stesso osso da rodere. Il vero problema è che gli attacchi hacker stanno vivendo una primavera cosmica, spesso aiutati dall’IA stessa. Il cybercrime non sta a guardare, anzi, sta imparando come sfruttare meglio queste armi avanzate.

Secondo Violetti, intendiamoci, l’IA potrebbe diventare quell’alleato indispensabile: capace di migliorare non solo la produttività ma anche la gestione intelligente e sicura dei dati. Peccato però che ci siano tre ingredienti essenziali da non dimenticare: formazione, competenze e conseguenze. Senza questi, l’innovazione diventa solo un’illusione, e l’Europa non sta a guardare, anzi, cerca di mettere un freno con regole chiare come la direttiva NIS2, una normativa fresh di stampa che in questi mesi si sta finalmente applicando coinvolgendo imprese e istituzioni. Non esattamente roba da poco, ma comunque un passo nella giusta direzione.

Sostenibilità, sicurezza nazionale e sovranità digitale: questi sono i tre pilastri su cui, a detta di Violetti, dovrebbe poggiare tutto questo intreccio tecnologico. Peccato che, mentre si declamano queste parole al microfono, nella realtà spesso manchi il coraggio politico necessario.

Violetti chiude con un messaggio che puzza di verità scomoda: la politica deve smettere di dormire sugli allori e affrontare il tema del gap di competenze. Non si tratta solo dei tecnici, ma soprattutto dei cittadini, di chi dovrebbe davvero capire cosa succede dietro a un click. E poi ci vogliono i soldi, perché senza investimenti concreti in tecnologia, tutta questa retorica rischia di restare solo aria fritta.

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